Abbiamo intervistato la giovane e talentuosa regista americana, qui per la prima volta alle prese con un progetto young adult e con un film sulla carta molto lontano dalle sue corde ma nei fatti riuscitissimo. Ecco cosa ci ha raccontato via Zoom. Il cielo è ovunque debutta su Apple TV+ l’11 febbraio
Josephine Decker, americana 40 anni. A molti di voi il nome non dirà molto, ma i lettori più assidui di questo sito dovrebbero invece drizzare le orecchie. Perché di Josephine Decker qui andiamo parlando da diversi anni, da quando – prima alla Berlinale, e poi al Torino Film Festival gestione Emanuela Martini – parlammo del suo folgorante dittico d’esordio, composto da Butter on the Latch e Thou Wast Mild and Lovely, che l’impose come una delle voci più nuove e interessante del panorama indie-sperimentale del cinema statunitense.
Poi sono arrivati film come Madeline’s Madeline, o Shirley, biopic sui generis della grande scrittrice Shirley Jackson con Elizabeth Moss nel ruolo della protagonista, che hanno confermato e ribadito quelle impressioni iniziali.
Ora Josephine Decker ha diretto un nuovo film. Un film che, sulla carta, e forse anche non solo, c’entra davvero pochissimo con il cinema da lei realizzato in precedenza. Si intitola Il cielo è ovunque, ed è un classicissimo prodotto in target young adult tratto da un omonimo best seller di Jandy Nelson (in Italia pubblicato da Rizzoli).
Racconta una storia romantica, dolorosa e vagamente sdolcinata: quella di una timida adolescente di nome Leslie, studentessa di un liceo musicale che si trova ad affrontare il dolore per la morte improvvisa dell’adorata sorella maggiore Bailey da un lato, e l’euforia del primo amore dall’altro. Con la complicazione, però, di un’attrazione forte sia per il nuovo arrivato nella sua scuola, il talentuoso Joe, sia per Toby, l’ex fidanzato di Bailey, con il quale condivide il dolore del lutto.
A conferma di quanto nella riuscita di un film conti un regista di talento, così come conta l’allenatore per una squadra di calcio, ecco che Il cielo è ovunque, che nelle mani di qualcun altro sarebbe probabilmente diventato un filmetto un po’ retorico e melenso, ecco che Josephine Decker è riuscita a fare di questa storia qualcosa di creativamente ed emotivamente interessante: anche per coloro che non appartengono al target di riferimento, che comunque apprezzerà eccome.
“Volevo affrontare un progetto più gioioso”
È stato proprio il suo essere così diverso e lontano da quanto aveva fatto fino a quel momento a far innamorare Josephine Decker del copione di Il cielo è ovunque, scritto dalla stessa autrice del romanzo Jandy Nelson: “Mi sentivo pronta per qualcosa che non fosse così oscuro e meditabondo, volevo affrontare un progetto più gioioso e questo lo era, anche se si parla di lutto e di perdita”, ci ha detto la regista via Zoom. “Ho stabilito una profonda connessione con la storia è ho fatto di tutto, ossessionando l’autrice, per riuscire a dirigerlo”.
Eppure, anche trattando una materia così diversa, Josephine Decker è riuscita a lasciare nel film, soprattutto sul piano formale, un’impronta chiaramente riconoscibile. “È interessante tu dica che la mia mano si senta, penso sia una buona cosa. Ed è divertente, perché spesso ho pensato ‘oh mio dio nessuno si accorgerà che sono stata io a fare questo film’, perché mi sono a lungo sforzata di fare scelte differenti”, ha spiegato la Decker. “Tutti i miei film fino a questo momento sono stati girati con la camera a mano, e qui non volevo assolutamente farlo. Era importante per me vedere cosa volesse dire girare in un altro modo, e abbiamo lavorato molto con la steady, i dolly, i carrelli: ero emozionatissima nel provare tutte queste cose nuove. Poi”, ha aggiunto, “se devo essere sincera le mie parti preferite sono ancora quelle girate con la camera a mano, e questo vuol dire qualcosa, anche se l’abbiamo usata pochissimo”.
Gondry, Powell e Pressburger
Continuando a parlare dell’aspetto visivo di Il cielo è ovunque, che è fatto di colori saturi, effetti speciali lo-fi, scenografie fantastiche e favolistiche, Josephine Decker confessa che per la prima volta nella sua carriera ha scelto di avere come riferimento il cinema di un altro autore. “Sono stata molto ispirata da Il favoloso mondo di Amélie: dalla velocità delle sue scene, dal il modo in cui gioca con lo spazio e il tempo, e dalle lenti che sono state usate in quel film: Jean-Pierre Jeunet ama chiaramente i grandangoli e quindi li ho provati anche io”. Ma oltre a Jeunet, che potrebbe far storcere il naso a qualcuno, c’è anche un’altra coppia di registi cui Josephine Decker ha fatto riferimento per il look di Il cielo è ovunque: “Parlando con Ashley Connor, la direttrice della fotografia dei miei primi film, le raccontavo che per questo avrei voluto usare dei fondali dipinti, e lei mi ha detto di guardare Narciso nero e Scarpette rosse, di Powell e Pressburger, per capire come si fa a creare paesaggi meravigliosi che sembrano così reali. Anzi, che sono sono chiaramente falsi ma molto reali al tempo stesso”.
Grace Kaufman, fondamentale
In questo mondo coloratissimo e fantasioso si muove un personaggio, la Lennie interpretata da Grace Kaufman, che ha ben poco a che vedere con Amelie o con le protagoniste dei film di Powell e Pressburger, ma anche con i tanti personaggi femminili raccontati da Josephine Decker fino a questo momento. “Penso quello di Lennie sia il ritratto di ragazza più innocente che abbia mai fatto”, ha detto la regista. “Lennie ha una timidezza che la frena dall’esporsi, mentre le altre ragazze dei miei film erano tutte un po’ manipolatrici, ed era interessante per me vedere che invece in Lennie c’è un’energia innocente. All’inizio del film la troviamo in una situazione difficile e delicata, e sembra quasi un po’ infantile, Per questo è stato fondamentale trovare Grace Kaufman, che abbiamo girato aveva 17 anni: volevo a tutti i costi una vera teenager per la parte, era fondamentale per raccontare il suo essere sulla soglia dell’età adulta ma non ancora del tutto lì. E Grace è un’attrice incredibilmente matura, che sa fare cose che molti attori più grandi non sono in grado di fare, ma è comunque giovane e si vede, e questo dona uno spessore al film”.
Un mix complesso di sentimenti opposti ed estremi
Grace Kaufman e Josephine Decker condividevano poi un compito non facile: quello di tenere in equilibrio costante e rendere credibile il mix di gioia e dolore che è alla base della storia del film. “Era una mescolanza di sentimenti gestita molto bene già nel copione”, ha spiegato la regista. “C’erano la gioia e l’immaginazione ma anche la capacità di andare in luoghi oscuri e profondi, ed è stato molto intenso per noi metterlo in scena. La parte davvero difficile è stata il montaggio, perché se nel romanzo, scritto in prima persona, sei sempre nella testa della protagonista, nel film devi costruire uno spazio per il pubblico per prepararlo alle esplosioni di gioia, per sentimenti intensi e reali, e per rendere credibile la profondità del dolore di Lennie. Ci è voluto molto tempo ma penso e spero che l’abbiamo trovato il modo per raccontare la gioia ma anche questo tenero e vulnerabile dolore. La mia montatrice Laura Zempel mi diceva sempre ‘quale che sia la tua parte preferita di questo film, dovrai tagliarla’. E in effetti l’abbiamo fatto. Perché, come mi diceva, nel film tutte le scene devono essere allo stesso livello e se c’è una scena che risalta molto più delle altre è il segnale che nel complesso c’è qualcosa che non va”.
Il cielo è ovunque: una fiaba, un racconto idilliaco e senza tempo
Per rendere credibile e permettere la compresenza di sentimenti opposti ed estremi, era anche importante per Josephine Decker far sì che il suo film sembrasse, anche sul piano dell’immagine (basta pensare alla casa dove Lennie vive con la nonna e il bizzarro zio, nel profondo di una lussureggiante foresta) come una fiaba. “Sono molto contenta che sul set tutti, a partire dalla direttrice della fotografia Ava Berkofsky, fossero d’accordo con me sull’aspetto che il film avrebbe dovuto avere. Tutto doveva essere un po’ esagerato per cercare di dare l’idea di una fiaba. Quello che raccontiamo è il nostro mondo, ma con qualcosa in più, che va oltre. E poi siamo sinceri: è anche un film molto anni Novanta. La gente si manda messaggi col telefonino ma allo stesso tempo si presenta a sorpresa sotto casa di qualcuno e tira sassolini alle finestre per attirare la sua attenzione. C’è qualcosa di idilliaco e senza tempo nel racconto”.
E l’esagerazione, per Josephine Decker, era anche funzionale al dialogo col pubblico: “Guardando Birdman sono rimasta molto colpita da una scena in cui Michael Keaton esce da una porta e si trova di fronte un mucchio enorme di spazzatura: come se tutta la spazzatura della città fosse in quell’angolo.Lì in qualche strano modo ho capito che quella del cinema non è un’arte basata sulla sottigliezza: sì, il naturalismo e il realismo vanno bene, ma devi fare qualcosa di grande, scelte evidenti, per far sentire davvero le cose allo spettatore”.
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