Claudio Cecchetto: «Assunsi Amadeus perché mi mentì. A Radio Deejay clima da caffè francese»

Claudio Cecchetto: «Assunsi Amadeus perché mi mentì. A Radio Deejay clima da caffè francese»

l produttore e talent scout: «Mi disse che aveva casa a Milano, ma non era vero. Con lui, Fiorello, Jovanotti e Gerry Scotti situazione straordinaria. Io? Mi candido a Riccione»

«Amadeus? È anche lui figlio di un ambiente del tipo “caffè letterario francese”, dove gli artisti s’incontravano e, scambiandosi opinioni ed esperienze, crescevano insieme». Creatore di quell’ambiente: Claudio Cecchetto, il talent scout per eccellenza. Nativo di Ceggia, Venezia, classe ’52, Cecchetto vuol dire Jovanotti, Fiorello, Jerry Scotti e tutto il resto di un lungo, affollatissimo elenco di personaggi dello spettacolo: non parleremmo del Sanremo 2022 di Amadeus, il più visto dal ’97, senza Cecchetto e quell’incontro di tanti anni fa, in Arena, con un giovane disc jockey veronese armato di biglietto da visita in formato audiocassetta. 

Alla fine, Cecchetto, possiamo dire che Amadeus nasce da quell’audiocassetta…
«Me lo ricordo bene, stavo presentando il Festivalbar, Salvetti mi disse di questo ragazzo di Verona. “Sembra simpatico”, mi fa. Così ho conosciuto Amadeus e l’ho convocato a Radio Deejay. Lì c’è la storia abbastanza nota della bugia…». 

Quella dell’alloggio?
«Sì. Pensavo avesse problemi a trasferirsi a Milano. Lui però disse che aveva già un posto dove dormire perché lavorava spesso in città. Dopo un mese mi confidò che si alzava presto ogni mattina per venire in treno da Verona. Una bugia detta per non crearci problemi: mi fece capire che ci teneva». 

La Rai vorrebbe Amadeus anche a Sanremo 2023, quarto festival di fila: come ne spiega il successo?
«I miei ragazzi sono cresciuti in un ambiente dove sono riusciti a esprimersi al massimo, del tipo “caffè letterario francese” dove gli artisti si scambiavano opinioni ed esperienze. Penso a Fiorello, Jovanotti, Gerry Scotti… sono cresciuti insieme e vedo che tutti a loro modo hanno avuto un grande successo. E poi hanno fatto le cose con coscienza: ho scritto un libro che s’intitola “Il talento è un dono, il successo è un mestiere”, il concetto è quello lì…». 

Complice lo smart-working negli ultimi due anni forse ci siamo un po’ allontanati dall’idea di un ambiente simile, dove il contatto stretto genera quel confronto che accresce: è un ambiente replicabile?
«La situazione odierna nasce da un’emergenza. Che poi un ambiente così sia replicabile… magari sì, non lo so. Forse io ho avuto il talento di riconoscere i talenti: di sicuro quella non era una “scuola” di disc-jockey, il lavoro non era formarli, il lavoro era fare radio insieme». 

Torniamo all’altissimo gradimento di questo Sanremo…
«È stato realmente una festa italiana. Ha coinvolto tutti i target. Nel finale c’erano tre generazioni sul palco: forse nemmeno a scriverlo era pensabile un epilogo così». 

Lei in carriera ha condotto il festival di Sanremo per tre anni: che tipo di sforzo è sul piano fisico e mentale?
«Più che uno sforzo è un piacere. Hai tutta l’attenzione, molta responsabilità addosso. Ma quando fai una cosa che ti piace tutto esce più facilmente». 

Con Amadeus e le altre sue scoperte si sente ancora?
«In generale i contatti rimangono, sì, con Amadeus ci sentiamo quando capita». 

Oggi il lavoro del talent-scout lo fanno definitivamente i talent-show?
«Il lavoro del talent-scout c’è ancora ed è quello di sempre. Per ora, più che altro, di talent-scout non ne vedo tanti. Probabilmente uno oggi preferisce fare l’artista. Di sicuro il talent-scout non è una cosa che si decide: o lo sei o non lo sei». 

E uno come lo capisce?
«Se ti piace dare una mano alle persone di talento allora sei un talent-scout. Altrimenti sei un semplice produttore. Fare il talent-scout vuol dire essere altruista, pensare al successo degli altri. In questa società però vedo poche persone che vogliano aiutare l’artista. C’è tanta ricerca del successo personale». 

Strumenti odierni del mestiere?
«I social sicuramente: una volta invece dovevi girare, magari andare nei locali o nei pianobar, guardare manifestazioni di giovani talenti». 

Il suo progetto Festivalweb si è dovuto fermare causa emergenza sanitaria: previsioni?
«Il Festivalweb rimane un’idea che realizzeremo appena si può. Per ora è rinviato finché non si normalizza la situazione. Sono concentrato su Riccione…». 

Si candida a sindaco, giusto?
«A giugno ci saranno le elezioni. Io in questo momento sto vedendo di partecipare. Stiamo formando la squadra e la lista civica va presentata entro fine aprile. Conosco le problematiche così come le persone in gamba del territorio». 

L’idea come nasce?
«Ho sempre lavorato su Milano e la mia estate è sempre stata a Riccione. La frequento dagli anni 80, ho contributo alla nascita di Aquafan, ho portato “Un disco per l’estate”. In quel territorio ci sono spesso, è casa mia».

È spuntato anche il manifesto «I love green Riccione» firmato da lei. 
«Non dimentichiamoci che Riccione è la perla verde». 

Corriere.it di Matteo Sorio






Torna in alto