I primi film internazionali, quello di apertura di Lone Sherfig, la storia violenta di Fatih Akin non convincono. In questo quadro i nostri film stanno facendo bella figura aspettando ‘La paranza dei bambini’ e grazie al piccolo gioiello ‘Dafne’
L’Italia risplende in questa Berlinale che fa acqua non solo in senso meterologico, iniziata con la solidarietà sentimentale di Lone Sherfig (The kindness of strangers) accolta tiepidamente dai critici, e poi gelata dall’ultraviolenza fetida di Fatih Akin con il suo serial killer amburghese in The golden gloves: anziane prostitute violate e fatte a pezzi con dovizia di dettagli. Dopo la bella prova firmata da Agostino Ferrente, Selfie, con protagonisti due ragazzi del Rione Trainno che lottano per una vita fuori dalla Camorra, ecco Dafne di Federico Bondi, ancora nella sezione Panorama, con protagonista una giovane donna Down in una storia on the road tra un padre e una figlia.L’ultima edizione dello storico direttore Dieter Kosslick – che nei 18 anni di guida ha rilanciato la rassegna mescolando glamour e impegno politico, ospitando i Rolling Stones e consegnando l’Orso d’oro a Fuocoammare – in questi primi giorni è piuttosto sotto tono. Il giudizio più basso dei critici – riuniti dall’edizione festivaliera di Screen – va proprio al film d’apertura, The kindness of strangers, che doveva invece aprire gioiosamente il via alla carica di sette registe donne e all’elenco di dive tra cui Diane Kruger, Tilda Swinton e la presidentessa Juliette Binoche. La storia corale di soliderietà intrecciate con Zoe Kazan in un ristorante a New York totalizza, 1,6. il punteggio più basso. Quello più alto spetta al film mongolo Indon di Wang Quan’an. Straordinari paesaggi e pochissimi dialoghi, un poliziotto mandato a vegliare il cadavere di una donna e la mandriana che lo accompagna, il ritratto di una donna che resta: 2,8.Convince anche François Ozon con il suo film Grace a dieu, Grazie a dio, che racconta della battaglia contro la pedofilia, attualissima in Francia dove è in corso uno scontro giudiziario, tra le vittime del prelato Bernard Preynat, all’epoca bambini, coperto dall’omertà dell’arcivescovo di Lione Barbarin: 2,4. Divide il film di Fatih Akin, regista turcotedesco di Amburgo che consegna la storia del serial killer Fritz Honka in un film che s’apre sul corpo senza vita di una delle sue vittime, segue una scena in cui prima cerca di infilare il corpo in un sacco e portarlo via, poi, intercettato da una bambina, torna indietro e lo fa a pezzi. Per stomaci decisamente forti. Il fatto che sia una storia vera e che dietro ci sia un’ambientazione sociale – c’è l’affresco del locale Il guanto d’oro, radune di sbandati, ex nazisti, prostitute, alcolizzati espulsi dal sistema virtuoso della rinascita tedesca – non allontana l’idea di un’operazione di discesa nell’abiezione visivamente compiaciuta. Completano le pagelle System Crasher, della tedesca Nora Fingschedt su una ragazzina che rifiuta di farsi adottare da qualunque famiglia perché in realtà vorrebbe stare con la madre inadeguata e per questo mette in crisi con i suoi comportamenti il “sistema” tedesco (1,9) e The ground beneath my feeth dell’austriaca Marie Kreutzer (2,3).Il regista di Dafne definisce il film “una commedia drammatica che non cerca di trasformare la disabilità in intrattentimento”. Già perché la protagonista, Carolina Raspanti, è una giovane donna con la sindrome di Down. “Carolina è Dafne, la mia fonte di ispirazione mentre giravo”. Trentaquatrenne di Lugo, Romagna, Carolina Raspanti ha un carattere e un’energia che investono il film e l’interlocutore. Dopo il diploma è stata assunta all’Ipercoop di Lugo, ha scritto due libri autobiografici che ha presentato in giro per l’Italia, Questa è la mia vita e Incontrarsi e riconoscersi: ecco il mondo di Carolina. “Durante il tour per i libri, ero in Calabria, sono finita sul canale Mediaterronia e su Youtube, lì mi ha visto il regista. Mi ha chiesto l’amicizia su facebook ma ho detto di no. Lui non demordeva, ha chiesto il mio numero, ha parlato con mio padre e gli ha spiegato il progetto. Ci siamo incontrati, da cosa nasce cosa, mi ha proposto il film “se accetti non puoi tirarti indietro”. Ho detto ok, salgo su questo treno e vado”. Nel film la protagonista perde la madre e si ritrova ad affrontare non solo il lutto ma anche a sostenere il padre anziano, sprofondato nella depressione. Intraprendono insieme un cammino, reale e metaforico, insieme in montagna verso il paese d’origine della madre scomparsa. E imparano a conoscersi in modo nuovo. “Quando ho incontrato Carolina avevo già scritto il soggetto, ma non avrei potuto sviluppare la sceneggatura senza di lei. La prima impressione, conoscendola, è stata di una maestrina che sa tutto. Ha un buon senso innato e una quotidianità costruita su tante regole”. Dei riti che Carolina ha costruito anche per i momenti più belli. Tre caramelle mentre vede la sua soap preferita, Un posto al sole, “che con la dieta sono diventate una”, sorride. “Non sono perfetta, mi mangio le unghie, mi tocco molto i capelli. E prima di partire per Berlino ero parecchio emozionata, non avevo mai preso l’aereo”. Il set è stato reso più semplice dalla sua memoria di ferro: “non ha mai letto una pagina della sceneggiatura. Le raccontavo la scena prima di iniziare a girare – spiega il regista – ha una memoria di ferro, un paio di prove estemporanee e fissava tutto a memoria. E poi era libera di improvvisare, ovviamente. Si è trattato di creare le condizioni perché lei reagisse, diciamo”. C’è una scena molto forte di pianto in macchina “è venuto naturale, mi ha fatto sentire la canzone degli 883 Come mai di Max Pezzali, a cui sono molto legata dai tempi della scuola: mi ricorda il primo amore. Ogni volta che la sento mi viene il magone, è successo anche sul set”. L’immedesimazione nella storia di questa giovane donna resiliente è stata forte “L’ho sentito subito mia, fin dal nome, Dafne. Ha la mia personalità, il mio modo di rapportarmi ai genitori, agli amici, agli altri. La mia necessità di amicizia, di contatto umano. Dafne sono io”. Aggiunge il regista “anche nella voglia di vivere, nello stupore di fronte alle cose. Non volevo fare un film sulla sindrome di Down o sulla diversità, volevo approfondire la possibilità di risorsa che ciascuno di noi ha dentro”. Di risorse nella vita vera ha dimostrato di averne tante, Carolina “i veri affetti, l’amicizia, il lavoro sono sacri. Il lavoro mi piace perché ti dà da vivere, i clienti ti danno i soldi per vivere dignitosamente. Ma, anche, mi piace stare in mezzo alla gente, con i colleghi c’è un bel clima, mi vogliono bene. Prima di partire la direttrice mi ha presentato a un superiore come uno dei caposaldi della coop, ci lavoro da dodici anni”. Con la popolarità dei libri e ora del film “è cambiato poco, qualcuno mi prende in giro, quando arrivo mi dice “ecco la star”, ma io resto ben piantata a terra. Senza fronzoli, montarmi la testa. Mi piacciono il cinema, le feste, le interviste, ma anche tornare alla normalità, nella mia vita quotidiana”. Federico Bondi sottolinea quanto sia stato importante per Carolina, il rapporto di amore e fiducia costruito dai genitori, l’accettazione assoluta”, “mi hanno sostenuto sempre e comunque, non si sono mai tirati indietro, con onestà , con la forza di non darsi per vinti, di non mollare. Ma ci ho messo anch’io del mio”. La giovane donna che regala oggi un’immagine così risolta e solare, ha la forza di confessare i momenti più difficili. “Ci sono state delusioni di amicizia, dolori che mi sono buttata alle spalle. Quella volta in casa da sole con i nonni in cui ho pensato di buttarmi dal balcone, ma ho avuto la forza di tornare indetro. Un’altra volta mi è capitato di prendere le pastiglie di mia mamma in mano per mandarle giù tutte e mi ha salvato vedere la macchina di mia mamma che passava. Le ho superate, sono cose che non torneranno più. Oggi ho ancora più voglia di vivere”.
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