L’artista aveva 79 anni, da tempo era malato. Una lunga carriera fra musica, teatro, televisione. E la difesa delle proprie radici e della romanità “che non ha nulla di coatto”
È morto a Roma il cantante Lando Fiorini. Aveva 79 anni e da tempo era malato. Una vita dedicata alla canzone romana, era stato interprete di tutti i grandi classici della tradizione che aveva portato in tv, dove aveva partecipato a tanti varietà, e a teatro, protagonista di numerosi musical. Un artista “dal core grosso”: così lo saluta con un tweet il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.
Ciao #LandoFiorini, artista dal ‘core grosso’, con te se ne va una delle grandi voci di Roma
— Nicola Zingaretti (@nzingaretti) 9 dicembre 2017
Il “core grosso” Lando ce l’aveva davvero, era un “romano de’ Roma” ultradoc, piacione e generoso. Aveva aperto il Puff, uno dei cabaret storici della capitale e fra i più conosciuti d’Italia, per vanità e piacere della compagnia: voleva un palcoscenico tutto suo sul quale esibirsi ma anche far esibire, trovare nuovi talenti, far divertire il pubblico, “insegnare” in qualche modo la tradizione della canzone romana alla quale non ha mai abdicato. Gli va riconosciuto il grande merito della coerenza: non cercò mai di assecondare le mode e i gusti del pubblico ma rimase sempre fedele alla propria storia, alla propria cultura e alla storia della propria città. Anche quando lo criticavano definendolo fuori tempo o trash. Neanche a dirlo, era un romanista di ferro.
Lando Fiorini, vero nome Leopoldo, era nato a Roma, a Trastevere, nel 1938. La famiglia era modesta, i figli erano otto, la casa in vicolo del Cinque troppo stretta. I genitori, non potendo allevar tutti i figli come avrebbero voluto, affidarono Lando a una coppia che viveva nel Modenese, dove anche lui si trasferirà e trascorrerà l’infanzia e parte dell’adolescenza. Quando torna a Roma il peggio è passato, l’Italia prova a rimettersi in piedi, Lando fa i lavori più disparati, l’aiutante di un barbiere, il meccanico di biciclette, dà una mano a i Mercati generali di via Ostiense. E lì canta, canticchia, si diverte ma è evidente che dietro a quel divertimento c’è un talento. Alcuni amici lo spingono a tentare la fortuna. Siamo agli inizi degli anni Sessanta quando partecipa con successo al Cantagiro e si piazza terzo dopo Celentano e Don Backy. Il gioco è praticamente fatto. Il grande successo arriva nel 1962, quando mette piede nel tempio del musical e del varietà: è il Serenante nella prima edizione del celebre Rugantino di Garinei e Giovannini. La sua Ciumachella de Trastevere piace al pubblico, lo spettacolo va in tounée negli Stati Uniti e Fiorini diventa, per gli americani, “il nuovo Claudio Villa”.
Da quel momento Lando non smetterà più di fare, partecipare, cantare, produrre. Lo invitano a fare programmi radiofonici e televisivi da Dizionarietto musicale a Il paroliere, questo sconosciuto a Ciao mamma e Adesso musica. Comincia a sfornare un album all’anno, Roma mia nel ’63, Passeggiate romane nel ’65, Roma sei sempre tu nel ’66. Partecipa a Canzonissima e Un disco per l’estate e al cinema compare in Storia di fifa e di coltello – Er seguito der più con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia (la parodia di Er più – Storia d’amore e di coltello di e con Adriano Celentano), 1972, non propriamente il meglio del cinema italiano dell’epoca.
Ma qualche anno prima, nel 1968, l’ex ragazzino di Trastevere che affilava i rasoi da Mario il barbiere di via dei Ponziani realizza un sogno, apre un teatro tutto suo nella ex bottega di un fabbro dove, diceva Lando, avevano anche girato alcune scene di La ciociara. In breve tempo diventa il cabaret più famoso di Roma e tra i più conosciuti d’Italia: il Puff, per lungo tempo sold out ogni sera, musica, canzoni e cucina romana. Il pubblico arriva da tutta Italia, tanti attori si fanno le ossa in quel locale, Enrico Montesano e Leo Gullotta, Lino Banfi e Gianfranco D’Angelo e Maurizio Mattioli. “Ho avuto fiuto”, commentava Lando, “ma anche tanta fortuna”.
Per Lando Fiorini gli anni Settanta sono quelli della televisione, gira una serie in quattro puntate, Ciao, torno subito, partecipa a Canzonissima e poi è con Maria Rosaria Omaggio a condurre il programma Er Lando furioso; anche Macario lo vuole in tv e se lo porta a Milano per registrare due puntate del varietà Macario più. Su musica di Stelvio Cipriani scrive la canzone Un sogno di marmo per la miniserie tv Il fauno di marmo, diventa un cult – e lo è ancora oggi – la sua cover di Cento campane, sigla dello sceneggiato Il segno del comando cantata da Nico Tirone, con la quale Fiorini qualche anno dopo parteciperà a Canzonissima, mentre nel ’74 porterà in finale, a Un disco per l’estate, Er monno, che si aggiunge ai suoi grande successi come Barcarolo romano, Pupo biondo, Ponte mollo, So’ stato er primo a fatte di’ de sì. Così come sarà un must da ascoltare con una cassettona Stereo8 la sua versione di Lella, quella ricca, la moglie de Proetti er cravattaro.
Quello di Fiorini è un successo che non ha flessioni. In carriera ha pubblicato una trentina di album, e poi cofanetti, antologie. Negli anni Ottanta escono raccolte e nuovi dischi, Momenti d’amore, Tra i sogni e la vita, E adesso… l’amore (con brani firmati per lui, fra gli altri, da Franco Califano, Amedeo Minghi, Renato Rascel, Carlo Rustichelli, Armando Trovaioli). Continuerà a produrre anche per tutti gli anni Novanta e continueranno uscire dischi ancora fino al 2010. Nel 1994 la partecipazione al Festival di Sanremo, tirato dentro a un’idea demenziale: il brano è Una vecchia canzone italiana, lo canta una fromazione a cui viene dato il nome di La squadra italiana, undici artisti in omaggio alla Nazionale di calcio nell’anno dei Mondiali: Giuseppe Cionfoli, Jimmy Fontana, Rosanna Fratello, Wilma Goich, Mario Merola, Gianni Nazzaro, Wess, Toni Santagata, Manuela Villa, Nilla Pizzi.
Da tempo Fiorini combatteva contro la malattia. Talvolta è apparso in tv, ospite di programmi di intrattenimento. E ogni volta ha sempre difeso le proprie radici “perché se le cancelli – aveva detto una volta – perdi valore, spessore, occasioni”, e quella romanità “che non ha nulla di coatto, la romanità di Anna Magnani, di Aldo Fabrizi e ora di Gigi Proietti. Fatta di pulizia e sopratutto di rispetto per gli altri. Come diceva Checco Durante, fate del bene che la vita è breve, c’è più gioia ner da’ che ner riceve”.
Alessandra Vitali, Repubblica.it