Negli ultimi mesi è stato molto acceso il dibattito sulla opportunità di riconoscere o meno lo status di servizio pubblico ai programmi della Rai, se la concessione di servizio pubblico e i fondi pubblici (canone) conseguenti dovessero andare sempre e solo alla Rai per una sorta di privilegio nobiliare, o magari fosse meglio valutare i singoli programmi delle varie reti, volta per volta, segnalando quelli che forniscono, di fatto, un servizio pubblico (e in questo caso si aprirebbero le porte del canone anche a Mediaset, La7 e Sky).
In attesa che il dibattito porti i suoi frutti, tuttavia, ecco che le circostanze, da sole e in punta di diritto, sembrano togliere alla Rai il monopolio sulla concessione.
La nuova legge sull’editoria, infatti, abroga l’art. 20 della legge Gasparri, che concedeva il servizio pubblico alla Rai, e non proroga ulteriormente la concessione, scaduta lo scorso 6 maggio e poi prorogata una volta fino al 31 ottobre 2016.
Come fa notare l’associazione Art. 21, infatti, la nuova legge sull’editoria modifica pure l’art. 49 del dlgs n. 177/05, e quindi «la Rai non è più la concessionaria ex lege del servizio pubblico radiotelevisivo».
Viale Mazzini, quindi, attualmente non avrebbe «alcun titolo abilitativo per proseguire le trasmissioni. Non in base alla legge, poiché la proroga sino al 31 ottobre 2016 è scaduta senza essere stata rinnovata. Non per via amministrativa, poiché non avendo proceduto il governo a nuovo assentimento, la previsione ponte contenuta in alcune disposizioni della legge sull’editoria non è ancora entrata in vigore per la vacatio legis (che prevede l’entrata in vigore della legge solo dopo 15 giorni dalla sua pubblicazione, ndr). Risulta che la stessa Rai abbia richiesto un parere legale sul titolo in base al quale nel frattempo sarebbe autorizzata a espletare il servizio pubblico radiotelevisivo e multimediale».
Le nuove disposizioni presenti nella legge sull’editoria, continua l’analisi di Art. 21, «affidano esclusivamente al governo il potere discrezionale di scelta del prossimo concessionario del servizio pubblico radiotelevisivo (senza peraltro menzionare la Rai, ndr) seguendo un iter che, di fatto, esclude il parlamento: decreto del presidente del consiglio su deliberazione del consiglio dei ministri, su proposta del ministero dello sviluppo economico di concerto con il ministro dell’economia».
Un bel ginepraio da cui districarsi, in un momento nel quale, peraltro, è massima la polemica contro il livello dell’informazione Rai, il flop dei programmi dedicati alla politica, la scarsa tempestività di notizie e immagini in occasione del recente terremoto in Umbria (con tanto di scuse di Antonio Di Bella, direttore di Rai news, per aver usato immagini di Sky Tg 24).
Articolo 21, liberi di è un’associazione nata il 27 febbraio 2002 che riunisce esponenti del mondo della comunicazione, della cultura e dello spettacolo, giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana, da cui il nome).
Claudio Plazzotta, ItaliaOggi