Zuckerberg investirà, nel 2018, un miliardo per produrre in proprio e acquistare film e serie di richiamo. In ballo i 200 miliardi di pubblicità che ancora sono appannaggio delle televisioni contro i 23 della rete. Ma Apple risponde con un piano di spese analogo
Alla fine il conto è di 5,6 milioni di spettatori. È uno dei primi risultati dell’ennesimo assalto al mondo della televisione partito dalla Silicon Valley. Tanto ha totalizzato l’ultimo episodio di Comeback Kids: Animal Edition pubblicato su Facebook. Quello di 20 giorni fa è arrivato a 57 milioni. Non solo: dal 5 settembre negli Stati Uniti, e presto in Europa, è attivo Watch. Si tratta della nuova piattaforma di Menlo Park che si aggiunge a YouTube Red di Google, ai servizi streaming come Netflix, Amazon Video, Hulu, alle mosse per ora timide di Apple, Spotify e Twitter, agli esperimenti europei come BlackPills. «Pensiamo sia possibile riprogettare molte esperienze attraverso la lente di una comunità online, iniziando dal guardare i video»: Mark Zuckerberg, dall’alto del suo trono che domina su un impero da due miliardi di utenti, ha presentato così l’iniziativa. Stupisce che ci abbia messo tanto. Non è un segreto che il mondo televisivo, quello tradizionale, ha in mano il mercato pubblicitario più ricco in assoluto: 200 miliardi di dollari l’anno contro i 23 dei video sulla rete.
Video sui quali sia Facebook sia Google hanno costruito le loro migliori trimestrali negli ultimi due anni. Eppure il rapporto fra la “vecchia” tv e i dominatori del digitale in questo frangente è ancora di dieci a uno. Ecco quindi Watch, che permette ai produttori di pubblicare serie, dirette sportive, documentari, film, reality. «Stiamo immaginando un mondo dove il video viene per primo ed è al centro di tutte le nostre app e servizi», aveva detto lo stesso Zuckerberg agli investitori esattamente un anno fa, festeggiando l’aumento annuo del 59% del giro d’affari. Ma per continuare a crescere e attrarre i veri inserzionisti servono contenuti adeguati. Un conto è vendere spazi legati ad una partita di calcio importante o alla nuova stagione di una serie celebre, un altro sono i filmati degli utenti o quelli su gattini e altri animali come Comeback Kids. Peccato solo che questo non sia un settore semplice e le major hollywoodiane non siano così sprovvedute come lo furono le etichette discografiche. «L’errore più grosso che ho commesso è non aver cominciato a produrre prima le nostre serie come House of Cards», aveva confessato due anni fa Reed Hastings, cofondatore di Netflix. Oggi la sua compagnia si basa sempre più su produzioni proprie, come Narcos o Suburra, tanto da investirci sei miliardi di dollari l’anno. Il miliardo che Facebook intende spendere per far decollare Watch non deve quindi stupire. Così come non deve sorprendere l’altro miliardo che sta investendo Apple. La quale ha assunto a giugno Jamie Erlicht e Zack Van Amburg strappandoli alla Sony Pictures Television, coppia di produttori rampanti e ambiziosi che hanno lavorato a serie del calibro di Breaking Bad, The Crown e The Black List . Consideriamo sia la stazza della compagnia sia il costo medio a stagione di una serie tv importante. Basti pensare ai 22 milioni per le prime dodici puntate di Gomorra prodotte da Sky Italia, ai 60 milioni della sesta stagione di House of Cards o ai 70 per le ultime sette puntate di Trono di Spade della Hbo. Li chiamano contenuti premium e sono l’unica vera carta che bisogna avere per tentare di sedersi al tavolo. Quella che la stampa ha dato via barattandola con l’illusione che il poter raggiungere più lettori online, anche se non pagavano un solo centesimo, avrebbe compensato l’emorragia causata dal calo delle vendite in edicola. Quella che le etichette musicali ora stanno tentando di riprendersi cedendo a caro prezzo l’esclusiva, ad un servizio streaming o ad un altro, dell’ultimo disco in uscita dei loro artisti di punta. È chiaro a tutti che le piattaforme di distribuzione globale online con centinaia di milioni di utenti finiscono per fagocitare chiunque, perfino la Disney, «tanto che ad un certo punto ci siamo resi conto che ci avrebbero annientato», ha spiegato Bob Iger, a capo della multinazionale di Topolino, Guerre Stellari e Marvel. Un commento fatto pochi giorni fa, tornando sulla decisione presa in estate di entrare direttamente nel mondo online a partire dal 2019. La stessa strada intrapresa della Hbo, che nel 2015 ha aperto Hbo Now, disponibile però solo negli Stati Uniti. «Che tutta la televisione passerà per la rete è assodato. Vecchie e nuove realtà, senza distinzione», ha detto Pierre Chappaz, fondatore della Teads, azienda francese che ha inventato alcune forme all’avanguardia della pubblicità video online. Dunque nel giro di dieci anni troveremo web e network di ieri, oggi e domani competere ad armi pari. O quasi. Cambierà il modello, se su abbonamento o basato sulla pubblicità. Ma a fare la differenza sarà la capacità tecnica di offrire un servizio semplice da usare ovunque e soprattutto la qualità dei contenuti. Da questo punto di vista Watch di Facebook di strada ne deve fare tanta. Per ora offre una partita di baseball a settimana, mini documentari, qualche film indipendente, programmi di cucina, uno show condotto dal presentatore Mike Rowe. Poco per impensierire gli altri. Ma il miliardo che Facebook intende spendere per le sue produzioni originali è destinato al 2018. Lo spettacolo è appena cominciato.
Jamie D’Alessandro, Repubblica.it