I tre giovani attori sono stati protagonisti di tre Vanity Stage unici, nella Campari Lounge, durante la Mostra del Cinema di Venezia. Intervistati dal direttore Simone Marchetti, hanno raccontato «cosa sognano i giovani talenti» e non solo
Che cosa sognano i giovani talenti? Tre promesse del cinema italiano – Juju Di Domenico, Rocco Fasano e Riccardo Mandolini – ce l’hanno raccontato a Venezia, senza filtri, svelandosi come mai prima. Nella Campari Lounge presso la Terrazza Biennale, durante la 77esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia (e via streaming sui nostri canali)
In tre unici Vanity Stage, che anche quest’anno hanno unito Vanity Fair e Campari, Main Sponsor della Mostra, per raccontare il cinema italiano.
Intervistati dal direttore Simone Marchetti, i tre attori hanno rivelato traguardi, ambizioni e speranze del mestiere «più bello del mondo».
Juju Di Domenico, classe 1997, in poco tempo è diventata il volto di alcune popolarissime fiction, come Curon. Segni particolari? La tenacia. Rocco Fasano. Classe 1994, è anche pianista e modello. Da SKAM Italia lo vedremo prossimamente in Non mi uccidere di Andrea De Sica. Riccardo Mandolini, il Damiano della serie cult di Netflix Baby che sta per debuttare con la terza stagione (dal 16 settembre), e si prepara per interpretare un ruolo da protagonista al cinema.
«Mi sono svegliata alle 6 per sostenere, online, un esame universitario. Traduzione tedesca. Anche se sono madrelingua, ho le mie difficoltà. Copiare? No, il voto che prendi è quello che ti devi meritare. Secchiona? Nooo, in realtà ho copiato tante volte».
«Il mio è un nome cinese. Mamma, che è di Pescara, e papà, che è tedesco, quando si conoscono parlano in inglese e si danno come soprannome “you”, ossia “tu” in inglese. Quando scoprono di aspettarmi decidono di chiamarmi come se fossi un loro prodotto, “you you”, solo che non è possibile inventare i nomi dei bambini e cercano un suono simile in giro per il mondo fino a quando l’ambasciata cinese risponde che in Cina esiste JuJu. Il significato originale è fiore».
«Appena finito l’asilo, in Germania, volevo continuare a giocare. Lì, all’asilo, interpretavo la cuoca, la maestra, e quindi in prima Elementare ho cercato dei corsi di recitazione. Da lì ho continuato a giocare e a recitare».
«Ho rinunciato a tante cose, giornate con amici al mare, vacanze, per continuare a proseguire questa strada. Non mi dispiace ma so che mi sono persa dei momenti».
«Quando mi dicono che somiglio a Robert Pattinson? Sono lusingato. Bravissimo attore, ma siamo molto diversi. Io arrivo dalla Basilicata. La mia vera formazione è stata la musica. Ho studiato al Conservatorio. Il rapporto col pianoforte mi ha insegnato il rapporto con la musica, il ritmo. Oggi me lo sono ritrovato nella recitazione».
«I miei genitori hanno spinto perché io studiassi qualcosa di meno artistico, mi sono iscritto a Medicina infatti. Sono stato un po’ la pecora nera della famiglia. Il sogno della recitazione ce l’ho sempre avuto, ho sempre cercato una dimensione alternativa».
«Il momento più bello? Subito dopo “Skam”. Buttarmi nel mio personaggio è stata una bella sfida emotiva. Interpretare la complessità è un dono, cresci anche come essere umano».
«Categorizzare è limitante, soprattutto quando si parla di alcuni temi come l’identità di genere, la sessualità. Secondo me non bisogna entrare in degli schemi definiti dagli altri, ma bisogna autodefinirsi».
«La sensibilità è una lente di ingrandimento».
Stefania Saltalamacchia, Vanityfair.it