A Chiara, una ragazza alla scoperta della sua famiglia: incontro con Jonas Carpignano da Cannes 2021

A Chiara, una ragazza alla scoperta della sua famiglia: incontro con Jonas Carpignano da Cannes 2021

Una giovane scopre che il padre adorato è un affiliato della ‘Ndrangheta in A Chiara, film che conclude la trilogia sulla Calabria e Gioia Tauro di Jonas Carpignano, che parla di una storia al femminile che sembra un thriller, presentata al Festival di Cannes 2021, sezione Quinzaine des Réalisateurs.

Gioia Tauro e la sua zona, in Calabria, sono ancora al centro del nuovo film di Jonas CarpignanoA Chiara, che chiude un’ideale trilogia dedicata a quella realtà, iniziata con Mediterranea e proseguito con A Ciambra. Anche questo capitolo viene presentato a Cannes, per la seconda volta alla Quinzaine des Réalisateurs. 

Proprio la cornice in cui il regista italoamericano ha incontrato la stampa italiana, insieme alla giovanissima protagonista, Swamy Rotolo, che interpreta una delle figlie della famiglia Guerrasio, che all’inizio del film si riunisce per celebrare i 18 anni della figlia maggiore di Claudio e Carmela. È un’occasione felice e la famiglia è molto unita, nonostante una sana rivalità tra la festeggiata e sua sorella Chiara di 15 anni sulla pista da ballo. Il giorno seguente, quando il padre parte improvvisamente, Chiara inizia a indagare sui motivi che hanno spinto Claudio a lasciare Gioia Tauro. Più si avvicinerà alla verità, più sarà costretta a riflettere su che tipo di futuro vuole per sé stessa.

“Non è una storia vera, come A ciambra”, ha dichiarato Jonas Carpignano, “non è la vita di Swamy, ma c’è la sua vera famiglia. All’interno di una struttura narrativa scritta da me ci sono esperienze basate sulla realtà che si vive lì. Ho scritto il trattamento mentre giravo A Ciambra, dove interpreta un piccolo ruolo. Ci conosciamo da anni, in qualche modo l’ho vista crescere, visto che vivo a Gioia Tauro da dieci anni. Conosco il padre, la zia, tutta la famiglia. Ho deciso subito che sarebbe stata lei Chiara, anche se non gliel’ho detto fino a che fossimo sicuri di fare il progetto. All’inizio non voleva farlo, una volta saputo che si girava anche il sabato. A quell’età – 16 anni – non vede l’ora di uscire tutte le sere. Alla fine abbiamo girato quasi tutto il film durante la pandemia e la cosa si è capovolta, era contenta, come tutti, per non dover stare rinchiusa in casa”.

Un film dalla lavorazione “accidentatissima”, come dicono i produttori di Rai Cinema, che sarà prossimamente in sala distribuito da Lucky Red con Academy Two, girato nel quartiere di Gioia Tauro, in cui il regista cura già un festival di cinema estivo. Un film che racconta anche della dolorosa realtà dei minori allontanati dalle famiglie affiliate alla ‘Ndrangheta. Chiara è colpita da questo provvedimento, e in generale il film alimenta un dibattito su una procedura discussa, nata con l’intento di interrompere il ciclo generazionale di trasmissione di una mentalità mafiosa, oltre che di una vera e propria dipendenza economica.

“In molti, durante la pandemia, da Saviano a Gratteri, hanno sottolineato come fosse cruciale aiutare economicamente il sud, per non far arrivare la mafia. Se non arriva lo stato, e la gente è senza mezzi, la si costringe a fare altre scelte. È difficile giudicare questo processo, non conoscendo la loro realtà. Il padre di Chiara non si vede come un mafioso cattivo, cerca di mantenere la sua famiglia. Amo Gioia Tauro, ma ora vorrei staccarmi e fare altre cose, per poi tornare, non so ancora quando. Dovessi farlo, sicuramente lo farei con le persone che ho raccontato nei miei film. Sono più di dieci anni che vivo a gioia Tauro, ma non ho mai vissuto una sparatoria. Non si può negare che la mafia appartenga a quel tessuto sociale, ma non ha la forma che viene spesso raccontata dai media. Per loro è importante che venga raccontato un altro punto di vista. Ci sono poi, come il caso del padre di Chiara nel film, i lavoratori che fanno muovere l’economia della droga, la manovalanza, non gli Escobar. I ricchi non si sporcano le mani.”

Rispetto ai primi due film, A Chiara ha uno stile meno documentaristico, mette in scena una realtà almeno in parte di finzione. “È sicuramente uno sguardo più digeribile da un pubblico ampio”, ha detto il regista. “Sono l’argomento e la protagonista che lo rendono tale. Quello che cerco di fare in un film rispecchia il mondo che racconto. A Ciambra era il caos totale perché così è quella realtà, in questo caso la vicenda è raccontata quasi come un giallo legato alla scoperta di cosa succede alla famiglia. Tutti i miei film partono dal protagonista. Swamy non ha mai letto la sceneggiatura, la mia idea era di sorprenderla. Ogni attore conosceva solo le scene legate al suo personaggio.”

Comingsoon.it

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