Tra il 12 e il 13 maggio del 1974 gli Italiani si recano alle urne, cambiando il corso della storia attraverso un “No”: più di 19 milioni di cittadini, il 59% degli elettori, si esprimono contro l’abrogazione della legge sul divorzio, rivelando il volto nascosto di un Paese in profondo mutamento. A cinquant’anni dal referendum, da venerdì 10 maggio le Teche Rai pubblicano su RaiPlay un’antologia dedicata (https://www.raiplay.it/programmi/divorzioilvotochecambiolitalia), un percorso a ritroso negli archivi che ha permesso di riportare alla luce materiali in grado di fotografare toni, umori e sentire dell’epoca.
È cosa nota che la discussione e il dibattito sul divorzio a lungo non abbiano trovano spazio in televisione, con una netta prevalenza del non-detto e di perifrasi. In questo senso è particolarmente interessante un servizio del TV7 risalente a dieci anni prima del referendum: tutti gli anni, il 22 maggio, le donne palermitane si rivolgono a Santa Rita, “avvocata dei casi disperati”, anche nota come la santa “aggiustamariti”: mariti “cattivi”, col vizio dell’alcool o del gioco, ma anche violenti e fedifraghi. In un’epoca in cui il divorzio è ancora un lontano miraggio, si invocano i miracoli.
Eppure, la questione era già annosa: lo ricorda Jader Jacobelli due anni dopo, nel 1966, in occasione della prima trasmissione televisiva che propone un confronto d’opinioni sul divorzio. La prima proposta di legge in materia compare negli archivi del nostro parlamento nel 1878. Quasi novant’anni dopo la proposta di legge Fortuna-Basilini, la dodicesima da allora, ha da poco iniziato il suo lungo iter di approvazione parlamentare. Il breve dibattito di questa Tribuna Politica, “Divorzio o non divorzio” vede protagonisti il socialista Loris Fortuna e il democristiano Attilio Ruffini. “Progresso”, “rimedio necessario”, ma anche “delinquenza” e “tragedia familiare”: il divorzio o “lo scioglimento del vincolo matrimoniale”, come viene timidamente chiamato, suscita da subito sentimenti contrastanti, chiamando in causa le espressioni più diverse.
Bisognerà aspettare altri tre anni perché si torni a parlare del divorzio in televisione, quando nel 1969 il settimanale TV7 propone un ciclo di approfondimenti. Il primo va in onda a gennaio e si intitola “Dibattito sul divorzio”: oltre a Fortuna, Ruffini, Nilde Iotti e Bruno Buozzi, diversi professionisti equamente ripartiti tra divorzisti e antidivorzisti prendono la parola sui nodi cruciali del dibattito. La fine dell’indissolubilità matrimoniale indebolisce o rafforza il concetto di famiglia? Tutela la morale o la offende? Protegge i figli o mette a repentaglio il loro equilibrio psicologico? Un’Italia divisa, dai toni placidi e dall’eloquio austero, si affronta senza perdere la compostezza.
Il secondo TV7, “Divorzio passato e futuro”, trasmesso ad aprile, si apre con le interviste ai passanti, alcuni più, altri meno informati. La parola passa poi agli avvocati: esperti di diritto di famiglia italiani, ma anche giudici e giuristi americani, inglesi e francesi, paesi in cui il divorzio è già in vigore da tempo. Testimoni a cui chiedere consiglio, ma soprattutto rassicurazioni. Per qualcuno incombe sull’Italia lo spettro del tracollo morale, il deflagrare dei valori e dei costumi. È la fine della società e della famiglia come le conosciamo?
Il ciclo si conclude con un servizio del 5 dicembre: il disegno di legge che introduce il divorzio in Italia è stato appena approvato dalla Camera. Le telecamere di TV7 provano ad intercettare gli umori collettivi per poi dare spazio ad un confronto a due tra Fortuna e Ruffini. A pochi giorni dal “sì” c’è già chi invoca il referendum popolare: è chiaro a tutti che questo è solo l’inizio di un confronto che investe la crescita democratica di un paese intero.
La spinosa questione torna in televisione nell’autunno del ’70: in risposta alle proteste di chi condanna la scarsa copertura mediatica la RAI organizza sei trasmissioni sul divorzio. Sei appuntamenti che si chiudono con uno speciale della rubrica “Sette giorni” in parlamento. Un coro di dieci voci, rappresentanti di altrettanti partiti politici, esprime la propria opinione. Ma è una breve, rara eccezione. Seguono quattro anni in cui prevale il silenzio.
Nel 1974, alla viglia del voto, la campagna sul referendum fa finalmente il suo ingresso negli studi della RAI. Nelle quattro settimane che precedono il voto vengono trasmesse trentuno tribune politiche: confronti a due, incontri stampa, interviste, appelli e guide al voto a cui però sono ammessi solamente i partiti rappresentati in parlamento e il Comitato promotore. La LID, Lega Italiana per l’istituzione de Divorzio e il Partito Radicale sono i grandi assenti; i dibattiti a due vedono affrontarsi, tra gli altri, Guido Gonella e Giancarlo Pajetta, Franca Falcucci e Nilde Jotti, Arnaldo Forlani e Oronzo Reale. Le Tribune del Referendum verranno viste da più di 16 milioni di telespettatori.
Venerdì 10 maggio la maratona si conclude con gli appelli finali dei principali leader politici. “Questo 12 maggio lo abbiamo voluto e lo abbiamo difeso perché ci è sembrato che fosse una grande vicenda di libertà”, Gabrio Lombardi apre le danze. Si susseguono Fanfani, Nenni, Almirante, Berlinguer. Quest’ultimo si scaglia contro coloro che da mesi profetizzano l’apocalisse, denunciando le falsificazioni e la politicizzazione di una campagna elettorale in cui le logiche di partito hanno finito per adombrare i temi della consultazione. E ancora, condanna con sdegno l’Italietta che nasconde bigliettini intimidatori e provocatori nelle tasche dei bambini all’asilo. Giorgio Almirante avvisa gli italiani “non votate come vorrebbero votaste le Brigate Rosse!”.
È la mattina del 12 maggio. L’esito del referendum è nelle mani degli elettori. A poche ore dall’apertura dei seggi arrivano i primi dati sull’affluenza regione per regione: in collegamento dall’ufficio stampa del Viminale, Fulvio Damiani e un giovanissimo Bruno Vespa si alternano nel racconto degli italiani alle urne. La sera del 14 maggio, poi, Brunella Tocci dà l’annuncio ufficiale: ha vinto il NO. Alle sue spalle un cartellone con scritto “Vittoria!”.