Il diavolo non tocca più la spalla di Abel Ferrara da quando gli è nato, cinque anni fa, un batuffolo biondo che si chiama Anna, e ha sposato Cristina Chiriac, una bellissima attrice moldava di una quarantina d’anni più giovane. Ma «quando nasci nel Bronx sarai sempre del Bronx», dice il regista iconoclasta che ha ridato nobiltà alla poetica nichilista, rituffandosi a piene mani nel lavoro.
Ha due film in uscita. In Tommaso, che va al Festival di Cannes, Willem Dafoe racconta i sogni e le paure più accese di Abel, non si capisce se sono visioni sull’infedeltà della moglie Cristina (che recita se stessa), realtà e incubi si mescolano, lei sembra gemere di piacere, non è chiaro se c’è un uomo con lei, mentre Willem fa yoga nella stanza accanto. In Alive in France, nelle sale dal 19, racconta il suo rapporto con la musica; la moglie Cristina («la compagna della mia vita») fa la corista, in una scena si spoglia in modo sensuale. Con la sua voce ruvida, antica, quasi biblica, Abel Ferrara racconta di sua spontanea volontà della liberazione da droga e alcol.
Com’è successo?
«Ho avuto un momento di grazia, non c’entra la paura della morte, mi sono detto che non era la vita che volevo fare e in Italia ho incontrato una comunità di persone straordinarie che mi hanno accolto e accompagnato nella mia riabilitazione».
Ne è uscito quando ha incontrato Cristina?
«No, poco prima, è stato un miracolo, senno’ non sarei qui a parlare con voi. Se non avessi smesso sarei morto».
Ora è «pulito», va in giro per Roma, dove abita, con una bottiglietta d’acqua.
Sorride: «Tutti i miei film parlano di dipendenze».
Gli antichi démoni a tratti si ritrovano in «Tommaso»?
«Tommaso è il racconto della vita di un artista americano che vive a Roma, tra realtà e immaginazione».
Un’autobiografia onirica?
«Non la chiamerei così, è una confessione che ho girato in parte nella mia casa all’Esquilino».
Il suo alter ego è Dafoe.
«E’ il sesto film che faccio con lui, abbiamo un’antica complicità. Willem è una bella persona, è il padrino di mia figlia ed è mio vicino di casa. Se ci affacciamo alla finestra, ci guardiamo».
Chi è Tommaso?
«È un titolo che mi piace, e in inglese Tom suona bene. Giorgio sarebbe suonato peggio. Nel tormentato protagonista proietto le fragilità dell’ispirazione degli artisti, ma senza nessuna frustrazione creativa».
Ha pensato a 8 e ½?
«A quel film penso ogni volta che giro. La mia vita è divisa in parti eguali, nello stesso periodo, da adolescente, ho cominciato a impugnare una cinepresa e a suonare una chitarra. Sono un fan di Miles Davis e di Nino D’Angelo, adoro il suo aspetto teatrale».
In «Alive in France» canta e suona con la sua band.
«Con Joe Delia faccio le colonne sonore dei film. Non possiamo permetterci di comprare i diritti, così suoniamo noi, in parte per necessità, altrimenti userei le migliori canzoni dei Rolling Stones. Non so se ho talento, ma la musica è nelle mie vene».
Nel film canta: «Rinuncia a tutto se vuoi essere qualcuno»; «butta l’ultima sigaretta»; «Pensano che sono vecchio e lento e ho la dinamite addosso». E un amico la chiama «Signor Ferrara».
«Sono cresciuto in una famiglia italiana, a parte mia madre irlandese. Nei miei primi 5 anni non ho incontrato nessuno che non fosse italiano. Mio nonno ha vissuto a New York fino a 90 anni senza parlare una parola d’inglese. Amo l’Italia e sto preparando un film su Padre Pio (sarà Luca Marinelli) in un episodio della sua vita, durante il massacro avvenuto nel 1920 a San Giovanni Rotondo che oppose un corteo di socialisti a carabinieri e fascisti».
Ha detto che ha difficoltà a rivedere i suoi vecchi film.
«No, sono felice dei film che ho fatto, vorrei farne sempre di migliori. I gangster movies non fanno più parte di me, è una violenza fittizia, non c’è mistero, non c’è amore. Sono un regista di strada perché giro dove mi trovo».
L’unica dipendenza di Abel Ferrara, oggi, è una bambina dagli occhi azzurri incollata a lui. Si chiama Anna.
Valerio Cappelli, Corriere della Sera