Apre il festival il film della regista Lone Sherfig ‘The Kindness of Strangers’ che racconta il tema dell’accoglienza e dell’altruismo con protagonista Zoe Kazan
La forza politica della gentilezza: in questo tempo indifferente la Berlinale 69 – festival storicamente sensibile ai temi sociali, diretto per diciotto anni da Dieter Kosskick ora al suo canto del cigno – sceglie di aprire con una fiaba moderna, piena di calore: The Kindness of Strangers, La gentilezza degli sconosciuti, della danese Lone Scherfig. Sono sette i film diretti da donne in concorso, poi la firma di un protocollo per la parità di genere e Juliette Binoche presidente di giuria, che in apertura del Festival ha commentato la massiccia presenza delle registe: “È un grande passo avanti, dieci anni fa non era così”, e Charlotte Rampling insignita dell’Orso d’oro alla carrera.La regista e sceneggiatrice ambienta la storia a New York, in un’epoca di disordini politici e sociali. “Volevo fare un film su persone che incarnano le preoccupazioni contemporanee, che non si conoscono ma che finiscono per accogliersi e aiutarsi a superare la propria condizione drammatica. Una storia d’amore non solo tra un uomo e una donna, ma tra amici, tra una madre e i suoi figli, un capo e il suo dipendente. Ed è un film sull’essere amati dagli estranei”. Al centro della storia persone le cui esistenze s’incrociano in un ristorante di New York “vite diverse che mano mano si intrecciano l’una con l’altra”.C’è Clara (Zoe Kazan), una madre in fuga con i figli dal marito stalker, violento, sadico; Alice (Andrea Riseborough), timida infermiera che trova la sua strada nel dirigere una terapia di gruppo basata sul perdono. Marc (Tahar Rahim), ex poliziotto oggi gestore del ristorante; Jeff (Landry Jones), un giovane che ha disperato bisogno di un lavoro; John Peter (Jay Baruchel), un avvocato con etica alta e una bassa autostima; e Timofey (Bill Nighy), il proprietario del ristorante e il nipote di immigrati russi. C’è una luce alla fine, “perché solo sapendo che alla fine c’è la luce posso toccare la profondità del dramma. Quello che vedete nel film esiste davvero, ho raccolto tante esperienze di persone che hanno perso tutto, ho toccato con mano queste situazioni e ho pensato che meritassero l’impegno mio a fare il film e quello del pubblico ad andarlo a vedere”. Ma oltre ai rapporti affettivi e personali, il film affronta anche il tema dell’altruismo, della beneficenza: “Ho scoperto che c’è un forte senso di carità in America, specialmente a New York. È incredibile quanto le persone siano disposte ad aiutare gli altri, persino gli estranei. E lo stesso vale per il Canada, a Toronto, dove abbiamo girato – ha detto Scherfig, definendo questa carità – una carità personale che non è politica, come in Scandinavia, dove i cittadini aiutano gli altri pagando le tasse”. l film non intende essere direttamente politico, ma va percepito anche in questo modo, ha detto la regista, perché descrive persone ai margini: “Sto mostrando persone che lottano per la sopravvivenza, non sono figure politiche o eroiche, lo sguardo segue sempre una prospettiva emotiva. Ed è meraviglioso quando un racconto intimo di sentimenti riesce a restituire un senso più grande che riguarda molte parti del mondo oggi”.La regista paragona The Kindness of Strangers al suo Italiano per principianti, che ha vinto il Gran Premio della giuria berlinese nel 2001. “Sono entrambi un incrocio di dramma e commedia, i personaggi sembrano lontani parenti. Ma se la struttura è simile, la tematica è profondamente diversa”. L’esperienza di Dogma è da tempo archiviata e The Kindness of Strangers, “è stato realizzato con un linguaggio cinematografico più grande ed espressivo e con maggiore urgenza tematica: la povertà che racconto è una emergenza mondiale”. Aggiunge il grande attore britannico Bill Nighy “non si tratta di una questione ideologica, le persone vengono divise e messe le une contro le altre, manipolate, per razza, idea politica, classe in tutto il mondo da chi ha il potere. Ma poi c’è l’istinto umano bellissimo che si chiama accoglienza, altruismo ed è questo sentimento che il film celebra”.Per l’autrice, che firma anche la sceneggiatura, Berlino è un posto speciale. Nel 1990 ha presentato The Birthday Trip in Panorama, nel 1998 On Our Own in Generation. Nel 2001 ha vinto l’Orso d’argento (premio della giuria) con Italiano per principianti e nel 2003 ha presentato Wilbur Wants To Kill Himself, proiezione speciale Screening. Nel 2016 ha scritto la sceneggiatura di A Serious Game film di apertura del Berlinale Special Gala. Nel 2016 An Education, con Carey Mulligan, che poi si aggiudicò tre nomination agli Oscar e un premio Bafta (i premi britannici) per la protagonista. “Sono felice che Dieter abbia scelto il mio film per la sua edizione d’addio, deve essere orgoglioso di quel che ha fatto in questi anni di cinema”.”Attraverso la partecipazione delle donne, specialmente come registe, la Berlinale rinnova il suo impegno per la parità di genere, iniziato ben prima degli attuali dibattiti”, ha dichiarato il direttore della Berlinale Dieter Kosslick. “Dal 2004 abbiamo ospitato film diretti da donne nel complesso della programmazione del festival. Nella competizione ufficiale di quest’anno dei 17 film in concorso, 7 sono diretti da registe. Non possiamo ancora parlare di parità, ma di certo è uno sviluppo positivo”. La firma del protocollo avverrà nel convegno Gender, genre and big budgets; con studiosi in materia di gender studies e media. Il protocollo che si firmerà tra qualche giorno a Berlino non prevederà il raggiungimento di quote rosa prestabilite nei film in concorso ufficiale, ma si appellerà semplicemente a caldeggiare un criterio di razionalità di genere nella scelta dei film e una maggiora trasparenza in materia da parte di tutto il sistema coinvolto nel processo di selezione dei titoli.Le nostre cineaste alla Berlinale. Nella sezione Panorama c’è Normal, il nuovo film documentario di Adele Tulli (classe 1982). Quali sono i rituali, i desideri, i comportamenti legati al genere e alla sessualità? I gesti e i ruoli che spesso senza accorgercene condizionano le nostre identità? Normal è un viaggio tra le dinamiche di genere nell’Italia di oggi, raccontate attraverso un mosaico di scene di vita quotidiana dal forte impatto visivo, dall’infanzia all’età adulta. Un caleidoscopio di situazioni di volta in volta curiose, tenere, grottesche, misteriose, legate dal racconto di quella che siamo soliti chiamare normalità, mostrata però da angoli e visuali spiazzanti. Con uno sguardo insieme intimo ed estraniante, il film esplora la messa in scena collettiva dell’universo maschile e femminile, proponendo una riflessione sull’impatto che ha sulle nostre vite la costruzione sociale dei generi.Nella stessa sezione Il corpo della sposa di Marina Occhipinti. Ambientato in Mauritania, racconta la storia di Verida (l’esordiente Verida Beitta Ahmed Deiche), una ragazza moderna che lavora in un salone di bellezza, frequenta i social network, si diverte con le amiche. Quando la famiglia sceglie per lei un futuro sposo, Verida – come molte sue coetanee – è costretta a prendere peso affrontando il “gavage”, per raggiungere l’ideale di bellezza e lo status sociale che la tradizione le impone. Mentre il matrimonio si avvicina a grandi passi, pasto dopo pasto, Verida mette in discussione tutto ciò che ha sempre dato per scontato: i suoi cari, il suo modo di vivere e il suo stesso corpo. “Attraverso la storia di una donna che arriva persino a mettere a rischio la propria salute per soddisfare un canone estetico imposto da altri – spiega la regista – il film vuole raccontare la complessità del rapporto tra le donne e i loro corpi su una scala molto più ampia. Fino a che punto i modelli sociali, spesso costruiti per soddisfare i desideri maschili, influenzano e condizionano le donne nel mondo? La Mauritania nel film funziona come un ‘altrove’, in opposizione al mondo da cui provengo e vivo, ma nella sua paradossale inversione di una serie di rapporti, si trasforma anche in uno specchio che mostra il modo distorto in cui il corpo delle donne viene sempre percepito”.
Arianna Finos, repubblica.it