Antonio Pilolli e Mattia Mezzetti, tra i principali protagonisti della community di volontari di supereori che lavorano a livelli altissimi
Lavorano tutto il giorno e poi la sera, quando arrivano a casa, aspettano l’ora perfetta per lanciare nel mondo virtuale parole, parole, parole. Si firmano Nadejiko, mabel91, tournesol1234, Marta_2, -cora-, BrendaWalsh, abituarsiallafine, Hillary9, giusto per citare quelli che stanno lavorando alla serie Nashville. E la loro passione totalmente volontaria è la sottotitolatura del cinema e delle serie tv. Da 12 anni questa è la missione di oltre 500mila attivisti di italiansubs.net, la community italiana di fansubbers (con la maggiore fetta nella nostra regione), che nel mondo è la più vasta e che recentemente è stata raccontata da Franco Dipietro, regista torinese, in un ‘documentario creativo’ intitolato Subs Heroes (produzione Duel: Film, coproduzione di TAIGA, società di Modena), che il 30 gennaio sarà presentato al cinema Galliera di via Matteotti, come evento di MovieDay. Tra i protagonisti fondatori di Italian Subs ci sono i bolognesi Antonio Pilolli (nickname Pil0, ingegnere classe ’79) e Mattia Mezzetti (per tutti Mezzi, 29 anni, infermiere) e la telecamera è arrivata in Pratello, in Montagnola, nel centro. Dipietro, come è entrato nel mondo di questi supereroi del sottotitolo? “Sono appassionato di serie tv. Ho iniziato con Lost, che vedevo in lingua originale coi sottotitoli, ma non mi rendevo conto, allora, della fortuna e del lavoro enorme che ci poteva essere dietro. Negli Usa era uscito nel 2004 e nel 2006 su RaiDue tradotto, ma alla fine della prima stagione la Rai annunciò che la seconda serie sarebbe stata trasmessa nel 2007 ed è in quel momento che l’Italia scopre eMule per scaricare e che i dati d’accesso alla community Italian Subs, passano da 200 a 200mila unità. Tutti pazzi per le serie coi sottotitoli!”. Nella nostra città vivono due dei sette amministratori di Italian Subs, chi sono questi appassionati? “Molti di loro hanno una storia decennale, come Pil0, che viene fuori dall’ambiente di ingegneria dell’Alma Mater e Mezzi, infermiere. È necessario saper parlare l’inglese e essere appassionati di serie tv. Per molti di loro è arrivata prima quest’ultima, poi c’è stata un’evoluzione che li ha portati a diventare appassionati della traduzione. Raggiungono livelli altissimi e all’università c’è tanta gente che fa le tesi su di loro, gli accademici li stimano. Pensi solo che per diventare un sottotitolatore della community bisogna fare un test pesantissimo e Mezzi, che ora è uno degli ‘heroes’, la prima volta non l’ha passato”. Come funziona esattamente il loro lavoro… si procacciano le serie all’estero? “Il primo fansubbing si è diffuso all’inizio degli anni Ottanta in America coi vhs, si traducevano i manga dal giapponese all’inglese e tutto quello che la tv americana non importava. Poi si è sviluppato in paesi come il Brasile, insomma dove ci sono lingue meno corteggiate per il doppiaggio. In Italia, invece, lo sviluppo è stato singolare perché da noi il doppiaggio è sempre stato forte, dal fascismo in avanti. Di per sé non è un male, non è censura, ma crea un distacco e la community ha dimostrato che c’era voglia di altro. I subbers traducevano le serie vecchie che magari avevano sottotitoli in portoghese oppure cercavano le traduzioni dei sottotitoli per non udenti inglesi”. Qual è stato il primo segno di vita dei sottotitoli in Italia? “Se nel 2005 c’erano tante piccole community che traducevano Smalville oppure OC, succede che ad un certo punto un ragazzo di Bergamo di 16 anni che traduceva sui forum, si chieda perché non possa esistere un sito pubblico su Altervista che possa riunire tutto. Gli risponde da Bologna Pil0 che allora aveva circa 20 anni. Due nerd si confrontano e mettono su Altervista ‘Italiansubsaddicted’ che subisce tentativi di hackeraggio da parte di rivali, ma che il 26 dicembre riesce a restare online più di 72 ore ed è fatta. Oggi questi attivisti sono guardati come trendsetter, perché hanno influenzato tanti palinsesti seguendo le loro preferenze in fatto di serie”.
Il Post