Il premio Oscar, fondatore della dance elettronica, ha annunciato la partenza, ad aprile, del suo primo tour europeo. Con tre date anche in Italia
«Nella vita mi mancavano due sogni da realizzare: cantare dal vivo e fare un musical». Nei prossimi due anni, Giorgio Moroder li realizzerà entrambi. Il premio Oscar, fondatore della dance elettronica, papà («non il nonno, mi raccomando») di tutti i dj, a 78 anni ha annunciato la partenza, ad aprile, del suo primo tour europeo (Italia compresa, con tre date, a Milano, Firenze e Roma). «Nel 2013 ho iniziato a fare il dj e mi è piaciuto ma i viaggi sono terribili. Domani parto per il Messico, poi ho date a Miami, poi altre ancora… troppo». Meglio concentrare il suo impegno e la sua musica in una tournée «se lo fa Hans Zimmer posso farlo anche io. O Morricone, che ha 90 anni: io sono un giovanotto in confronto», scherza.Durante lo spettacolo ha deciso, appunto, di tornare a cantare: «Non so come sarà ma spero che la tecnologia mi aiuti. Non ho più cantato dai tempi del Cantagiro, perché non ho la voce e non mi ricordavo i testi», ammette nel salotto di casa sua, con i suoi avi che lo osservano dai quadri sulle pareti. Parlerò anche, ma non troppo, non vorrei stancare la gente… magari qualche aneddoto piccolino su David Bowie, cose così». Tipo quando gli confessò che dopo aver sentito una sua canzone, Bowie smise di cercare nuove sonorità: «Non serve più, questa è la musica del futuro». Il materiale non manca in una vita fuori dal comune come quella di Moroder, vissuta con disarmante semplicità. Per ora il tour è europeo, «ma si sono già interessati dall’America, Sud America e Australia, quindi penso diventerà mondiale».Una nuova evoluzione di una carriera lunghissima, che ha avuto una svolta dopo la collaborazione con i Daft Punk: «Loro mi hanno resuscitato. Pensare che non volevo nemmeno vederli, è stato mio figlio a dirmi: ma sei pazzo?». Anche se il debutto come dj era di qualche mese prima: «In realtà avevo ricevuto spesso proposte in questo senso ma rispondevo sempre: sono un compositore, un produttore, mica uno che mette su i dischi. Quando ho detto al sindaco di Ortisei che ero diventato anche dj, nel 2013, mi ha risposto: quindi fai i matrimoni?». Pur avendo inventato qualcosa che non esisteva, non avrebbe mai immaginato che i dj sarebbero diventate le nuove rockstar: «No, assolutamente. Mi spiace per la morte di Avicii ma lì il problema era la droga, tutti i grandi dj che conosco da Guetta in poi mi hanno detto che nemmeno bevono. Anche io non ho mai avuto nulla a che fare con la droga».Il 2020 sarà l’anno del suo musical: «Non so ancora nulla, ma sarà con i miei pezzi. Era un sogno che stavo già realizzando con Flashdance. Avevo fatto la musica quando mi hanno detto che per una questione di diritti non si poteva procedere. Dopo due anni di lavoro. Chi lo ha fatto poi non ha citato neanche il mio nome: è un po’ strano, il mio è l’unico pezzo del film». Molti gli riconoscono di aver cambiato la storia della musica, «beh, prima il sintetizzatore non c’era, tutto lì». È tra gli artisti più campionati: «Non ho un’opinione in merito. Direi che se uno è bravo si inventa qualcosa, non campiona. Però Kanye West lo ha fatto abbastanza bene con un mio pezzo di Scarface, quindi dipende». Nel ricordare gli inizi, il pensiero va a Donna Summer: «Poveretta. Abitava a Los Angeles nel mio stesso condominio, al piano sotto di me. Quando mi mettevo al piano lei dopo poco suonava alla porta e mi diceva: cosa stai facendo?». Dal 2020 dunque i sogni saranno tutti realizzati? «Eh, mi piacerebbe fare il regista per il cinema, ma non so scrivere neanche una storiella». Quanto conta la fama? «Per me? Poco. Sinceramente poco».
Chiara Maffioletti, corriere.it