È la stessa angoscia che, in Italia, prende(va) i capi azienda quando bisogna(va) decidere se aprire o no le porte alle telecamere di Report, il settimanale d’inchiesta di Rai 3 guidato fino a un paio di settimane fa da Milena Gabanelli. Essere trasparenti, rispondere a tutte le domande o chiudersi come in un bunker e lasciar passare la tempesta (mediatica)?
Qui in Francia la responsabile della comunicazione della filiale locale di Nestlé, il colosso svizzero dell’agroalimentare che, oltre alle mitiche capsule Nespresso, è ai primi posti nei mercati del latte, dei formaggi, degli insaccati, ha scelto la prima opzione proprio per «ne donner pas l’image d’un bunker» e ha dato il via libera alla troupe di Cash Investigation, un programma mensile di approfondimento che va in onda su France2, la rete ammiraglia, con la conduzione abile, proprio in stile Gabanelli, di una giornalista di lungo corso, la conosciutissima Elise Lucet. Argomento della puntata, che va in onda il martedì, i segreti dell’industria dei salumi, il dietro-le-quinte della produzione dei prosciutti. Risultato: la direttrice della comunicazione, Valérie Brignon, una garbata signora sessantenne che dirige anche la Fondazione Nestlé (finanzia studi e ricerche sulla corretta alimentazione come si conviene ad un colosso che fa affari col cibo) e che è stata in passato responsabile media di France Télécom e dell’editore Hachette, si è ritrovata licenziata in tronco. Accompagnata alla porta da un tweet del suo patron, Richard Girardot, direttore generale di Nestlé France, che in attesa anche lui del «pelo-e-contropelo» dai vertici della multinazionale, ha scritto che Cash Investigation era un esempio di pessimo giornalismo che confonde inchiesta e «racologe», cioè spazzatura, al solo scopo di alzare l’audience. Le stesse parole utilizzate da tante «vittime» di Report e della Gabanelli, insomma.
Che cosa è successo? La troupe di Cash Investigation è entrata nella fabbrica di prosciutti della Nestlé (quelli con il marchio Herta) ma non ha avuto il permesso di filmare la catena produttiva. Al contrario il concorrente diretto di Nestlé, il gruppo Fleury Michon, azienda storica del settore (fondata dalla famiglia Fleury alla fine dell’Ottocento, quotata alla Borsa di Parigi, 15 stabilimenti e 800milioni di fatturato), ha fatto filmare tutto, compresa quella fase in cui i prosciutti vengono «siringati» con un additivo a base di nitriti (la sigla in etichetta è E250) che serve a mantenere rosa la carne ma che da qualche tempo desta qualche preoccupazione tra i consumatori.
Ed è proprio questa fase della «nitritizzazione», chiamiamola così, della carne di maiale che è andata in onda mentre la responsabile della comunicazione Nestlé, la gentile signora Brignon, provava a spiegare alla scafatissima conduttrice di Cash Investigation che «voir les usines ce n’est pas beau. La dimension industrielle degoûte le consommateur», che una fabbrica di prodotti alimentari non è esattamente un bel vedere e che l’aspetto industriale non interessa affatto ai consumatori. Ma c’è qualcosa che fa paura?, si è chiesta, abile, la Lucet chiudendo l’intervista, la prima (e forse l’ultima) a un top manager della Nestlé France. Non c’è stato bisogno di aggiungere altro. I telespettatori hanno capito che anche i prosciutti Herta della Nestlé sono trattati con l’E250 come quelli di Fleury Michon e, probabilmente, come tutti. Quando madame Brignon s’è resa conto della trappola giornalistica, era già licenziata.
di Giuseppe Corsentino, Italia Oggi