Il mio ‘Goblin’ simbolo di rivincita

Il mio ‘Goblin’ simbolo di rivincita

Goblin, Gremlin e Sloth dei Goonies, “ciascuno di loro rappresenta a modo suo il ‘Junky World’, il mondo del rap e la realtà di oggi” che fanno parte di DrefGold, tornato in pista con il nuovo album, intitolato, non a caso ‘Goblin’ e disponibile dall’8 novembre. Un’opera matura, sincera e un po’ di rivalsa che segna il ritorno in grande stile del rapper bolognese, al secolo Elia Specolizzi, a tre anni di distanza dal successo del precedente lavoro e anche una certa discontinuità quello di debutto. “Sono davvero fiero e soddisfatto di come suona il mio primo album. Detto questo, per me è sempre stato importante aggiornarmi e cercare di rimanere al passo, soprattutto con le nuove sonorità – racconta DrefGold all’AdnKronos -. Con questo nuovo album ho cercato di fare proprio questo: prendermi più tempo per riflettere, capire cosa potesse funzionare meglio e studiare ogni aspetto con più attenzione. Il primo album a volte lo vivi in un momento così frenetico che può uscire da un mese all’altro, da un giorno all’altro, solo perché è quello “il momento”. Invece, per questo lavoro, penso di aver avuto il tempo giusto per curare ogni dettaglio e dare davvero tutto ciò che serviva”.

Il Goblin che dà il titolo all’album, “ha un ruolo speciale nella mia ‘catena sociale’, nella mia piramide, è il vertice, la figura più alta – rivela l’artista -. Per me è come un ‘nemico buono’. In certi film c’è sempre quel personaggio negativo che non vorresti incontrare mai, ma il Goblin, invece, è uno con cui mi piacerebbe fare due chiacchiere. È
sempre rimasto impresso in me in modo positivo, ed è diventato anche un simbolo di rivincita, specialmente ora che sto tornando sulla scena dopo un periodo di pausa senza pubblicare un album”. La cosa che lo rende più orgoglioso di questo lavoro, “anche se può sembrare banale – ammette – è il riconoscimento da parte di chi mi segue, che siano i fan, il pubblico in generale, o anche le persone che interagiscono sui social media. È una gratificazione che, per me, vale persino più dei soldi, e so che può sembrare una frase fatta, ma è davvero così. Quando vado a suonare e trovo anche solo 100 o 200 persone lì per ascoltare, capisco quanto sia importante essere riconosciuti per quello che si fa e quanto significhi per loro”.

Questo gli dà “una spinta incredibile”, al punto che, rivela, “faccio fatica a mantenere una certa distanza. Non riesco a ignorare o a rifiutare il tempo che i fan mi chiedono, anche in situazioni in cui, magari, sarebbe comprensibile dire di no. Se mi fermano mentre sono fuori a cena con la mia ragazza, o se sono in un camerino, senza neanche una maglietta addosso, farò comunque la foto. Se mi chiedono una foto, anche in situazioni un po’ assurde, io la faccio”. DrefGold frequenta da sempre i giganti della scena: da SferaEbbasta a Side Baby, dalla Dark Polo Gang a Izi con ‘Oh Mami’, da Guè a Smokepurpp con il brano ‘Heavy’, e persino incursioni nell’indie italiano con Lo Stato Sociale. Questo disco non è da meno e vanta i feat. di Capo Plaza, Tedua, Tony Boy, Tony Effe, Bresh e Pyrex. Ma ce ne sono due con i quali sogna di collaborare: “Young Thug, insieme a Shift, sopra a tutti – confessa – Forse proprio loro due sono stati i più iconici ed emblematici per il mio percorso. Li vedo quasi come delle divinità di questo genere, artisti che hanno influenzato tantissimi altri negli ultimi dieci anni e continueranno a farlo. Hanno lasciato tracce fondamentali in questa cultura, specialmente negli ultimi anni, quindi sì, direi loro due, senza dubbio”.
Sonorità ipnotiche accompagnate da rime dirette, nella musica di DrefGold l’influenza della trap americana è palese, grazie a una passione per la musica hip hop nata e cresciuta fin dall’adolescenza. “Tutto il mondo urban e hip hop in Italia ha inizialmente preso ispirazione da altri Paesi, non si può negare – osserva -. Però, nel tempo, soprattutto dal 2016 ad oggi, questo rapporto è cambiato. Ad esempio, quando vai in America, loro vedono noi come stilosi, come se l’Italia avesse un tocco speciale. Certo, in parte è dovuto anche al nostro artigianato, al mondo dell’automobile e, purtroppo, anche a stereotipi come la mafia, che per loro è un mito, ma che non rispecchia la nostra vera realtà. Loro hanno una visione distorta di noi, così come noi spesso la abbiamo di loro”.Ad esempio, la Dark Polo Gang “è un gruppo che non potrebbe esistere in nessun altro Paese. Trasudano la cultura che raccontano e rappresentano un periodo specifico che ha segnato la nostra scena. Così come in America ci sono da anni figure iconiche dell’urban, del rap e della trap, anche qui in Italia ci sono artisti riconosciuti e rispettati da tutti, anche se a volte meno compresi fino in fondo”. Dal canto suo, DrefGold prova a distinguersi cercando di “essere sempre il più originale possibile” sia rispetto a quello che era prima, sia rispetto a ciò che vede nella scena attuale. “Non è che voglio fare il bastian contrario per forza, ma mi accorgo spesso di avere un approccio diverso. È come se, quando tutti iniziano a vestirsi di nero, io mi rendessi conto che quel colore non fa per me e pensassi già a qualcos’altro. A volte questa mia originalità mi ha fatto sentire un po’ fuori luogo ma alla fine è ciò che mi spinge a creare qualcosa di diverso”.
Negli ultimi anni anche generi musicali che sembravano estranei a Sanremo sono arrivati sul palco di Sanremo ma DrefGold non sembra attratto dai riflettori dell’Ariston: “Per quello che ho visto fino ad oggi non mi convince del tutto – dice -. Mi sembra che sia diventato un evento sempre più grande ogni anno ma resta comunque molto legato alla canzone italiana tradizionale. In altre interviste ho detto che, per me, il rapporto con la scena musicale di Bresh, nel mio disco, è stato molto importante, anche perché lo vedo come un pezzo di italianità, però vedo che a Sanremo ci si orienta ancora verso certi suoni e tematiche che, al momento, non rispecchiano pienamente quello che faccio”. Detto questo, “non escludo a priori la possibilità di partecipare. Non sono tra quelli che dicono ‘io non ci andrò mai’. Mai dire mai, appunto. Arriverà forse un giorno in cui, per vari motivi o su richiesta di qualcuno, mi verrà voglia di farlo. Magari scatta una lampadina e penso ‘Perché no?’. Però ad oggi, ecco, per il 2025 o 2026 non credo proprio mi vedrete lì”.
(di Federica Mochi)

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