La sesta edizione di Pechino Express, dalle Filippine al Giappone, si conclude per la prima volta con una vittoria tutta al femminile: al termine di un’estenuante gara, le Clubber (Valentina Pegorer e Ema Stokholma) conquistano l’ambita medaglia, superando le agguerrite Caporali (Antonella Elia e Jill Cooper), per tutti le vincitrici morali dell’adventure game di Rai Due, mentre al terzo posto, non si sa ancora come, si sono classificati i Compositori (Achille Lauro e Edoardo Manozzi).
L’ultima tappa, da Yokohama a Tokyo, si apre all’insegna della scaramanzia con riti propiziatori per cacciare malignità ed energie negative salvo poi proseguire con una prova di architettura: la costruzione di torii, le tradizionali porte d’accesso giapponesi che portano ad aree sacre. I più veloci sono i Compositori. Per le tre coppie finaliste è una corsa contro il tempo: arrivate al Love Hotel, un albergo ad ore, indossano costumi da manga per andare alla ricerca di cosplayer, acchiappando la maggior parte di persone vestite come i famosi personaggi dei fumetti giapponesi. Dopo le maschere, ecco la prova più temuta del reality on the road: le sette teche. In un vecchio e abbandonato obitorio, i viaggiatori percorrono lunghi corridoi dall’aspetto inquietante, poco rassicurante. Antonella Elia apprezza: «La paura è una sensazione che ho sempre amato». «Tu non sei normale», sottolinea Jill Cooper. E dopo essere stati spaventati da mostruosi zombie, ecco che vengono accompagnati in una stanza dove devono recuperare preziose fiches affondando le mani in teche contenenti sostanze viscide, mani insanguinate, insetti e anguille. Dinanzi alla statua di Hachiko (il celebre cane cui è stato dedicato anche un film interpretato da Richard Gere), alla stazione di Shibuya, Costantino della Gherardesca nomina vincitrici della prima prova proprio le Clubber (per loro un bonus di dieci minuti), seguite da Caporali e Compositori.
Per tutte e tre le coppie, arriva il momento di divertirsi, alla scoperta di Tokyo by night: così i Compositori assistono al burlesque, le Caporali bevono e chiacchierano in piccoli bar dove socializzare è d’obbligo, mentre le Clubber assistono ad un tipico spettacolo locale. Il giorno dopo, la sfida diventa ancora più ardua, tanto che, dovendo correre più del solito, Costantino consegna loro zaini più piccoli e leggeri. Si parte subito con una prova di sushi a dir poco particolare con la preparazione, a bordo di un furgoncino, di nagiri, roll e sushimi, giudicati da un severissimo maestro, e con un altro classico di Pechino: la prova dei sette mostri. Roba da stomaci forti: dopo l’assaggio di vermi, cavallette fritte e sperma di pesce, le Clubber e i Compositori sono quasi sul punto di vomitare, mentre le Caporali non battono ciglio, ingurgitando velocemente tutto.
Tra la prova “olfatto” in cui le coppie devono annusare e trovare le persone che indossano lo stesso profumo dato loro da Costantino e la vendita della fragranza, che i Compositori spacciano addirittura per afrodisiaca, arriva il momento della prima eliminazione nella sala karaoke più grande di Tokyo. Qui nessun brano da cantare, ma un emozionante incontro via Skype con i loro familiari che comunicano il verdetto: ad abbandonare la gara sono proprio i Compositori. La coppia più amata e odiata di Pechino la prende con filosofia: «Il primo posto è da perfettivi, il secondo è da perdenti, il terzo è da fighi», commentano Edoardo e Achille soddisfatti della medaglia di bronzo e chiedendosi, soprattutto, come siano riusciti ad arrivare sin lì, considerando le tante volte in cui si sono piazzati ultimi, rischiando l’eliminazione a quasi ogni tappa.
Il rush finale, con un’adrenalinica corsa in metropolitana per raggiungere West Park Bridge di Odaiba, è tra le due rivali di sempre, Clubber e Caporali: il gong della vittoria suona però solo per le prime. Si conclude così, tra le lacrime e le urla di gioia di Ema e Valentina, e le commoventi immagini di ringraziamento ai popoli incontrati durante il meraviglioso viaggio verso il Sol Levante, la sesta edizione di Pechino Express.
Rosaria Corona, Il Secolo XIX