Quel ‘Beautiful Boy’ di Timothée Chalamet, la disperazione di un tossico: “Il mio ruolo più difficile perché vero”

Quel ‘Beautiful Boy’ di Timothée Chalamet, la disperazione di un tossico: “Il mio ruolo più difficile perché vero”

Basato sulle biografie di David Sheff e di suo figlio Nic affronta la lenta discesa di un adolescente nell’inferno della dipendenza. Protagonisti del film, in programma alla Festa di Roma, i candidati al premio Oscar Steve Carell e il giovane Chalamet

Timothée Chalamet, 22 anni, newyorchese di padre francese, Timmy, Tim, o Timo per gli amici, proviene dalla scuola di Saranno famosi, quel La Guardia High School for Performing Arts che ha sfornato tanti talenti. Lui non ha fatto eccezione, diventato famoso soprattutto per merito di Luca Guadagnino e del suo Chiamami col tuo nome, per il quale ha ricevuto la candidatura all’Oscar come miglior attore protagonista per la sua interpretazione di un adolescente che scopre di essere omosessuale. Chalamet è ora impegnatissimo – ma lo era già da anni, fra teatro e cinema: lo ricordiamo nel ruolo del figlio di Matthew McConaughey in Interstellar – dopo Lady Bird ha infatti girato il dramma Beautiful Boy (che sarà alla Festa di Roma e poi in sala) e il nuovo film di Woody Allen, A Rainy Day in New York, accanto a Selena Gomez. Il film è quello incriminato, accantonato da Amazon dopo le ennesime accuse di molestie sessuali nei confronti di Allen e dal quale i protagonisti si sono pubblicamente dissociati. A novembre, poi, Chalamet sarà protagonista – al cinema – anche di un adattamento di Enrico V. Insomma, Chalamet è dappertutto.Insomma, indubbiamente uno dei volti più interessanti tra le nuove leve di Hollywood, per molti “the next big thing”, “la prossima grande star”. È figlio d’arte da parte materna (il padre è un funzionario dell’Unicef): la madre, Nicole Flender, era una ballerina, il nonno, lo sceneggiatore Harold Flender, scriveva per Sid Caesar e Mel Brooks, oltre che essere uno degli autori del celebre The Jackie Gleason Show negli anni Cinquanta. Chalamet, che era già apparso in pubblicità televisive e aveva fatto parecchio teatro, aveva solo 17 anni quando incontrò Guadagnino: aveva appena finito di lavorare per la serie Homeland (era Finn Walden, il figlio guastafeste del vice presidente USA). Dice Guadagnino, che lo aveva notato in Interstellar: “Quello che vidi in Timo era un giovane estremamente articolato, intelligente, profondo, ambizioso al punto giusto, capace nella sua arte, qualcuno che non solo non aveva alcuna idea del sé, nel senso narcisistico del termine – carenza perfetta per un vero attore – ma anche sinceramente devoto all’arte della recitazione, privo di vanità. Avevo bisogno di un giovane così”.In Beautiful Boy, tratto dal bestseller autobiografico di memorie scritto da David e Nic Sheff (padre e figlio), Chalamet interpreta Nic (il padre è interpretato da Steve Carrell, la madre da Maura Tierney), un giovane tossicodipendente che mette a soqquadro l’intera famiglia mentre il padre lotta per ricostruire la relazione col figlio. È in sostanza una descrizione accorata e commovente di una relazione tra padre e figlio, che ha strappato più di un applauso al recente festival di Toronto con Chalamet – così si dice – in odore di una seconda candidatura ai Golden Globe e quindi agli Oscar. Spiega lui: “È stato forse il ruolo più difficile che abbia fatto finora, non tanto per i problemi di Nic con le sostanze, l’abuso, la dipendenza, la ‘scimmia’, quanto perché per la prima volta ho interpretato una persona reale, che esiste, che è lì, che aveva pressappoco la mia età all’epoca dei fatti. Mi sono reso conto quanto sia difficile fare una cosa del genere. È una responsabilità immensa. Per fortuna ho incontrato il Nic Sheff, che mi ha subito calmato e mi ha dato piena ‘licenza’ di interpretarlo. ‘Carte blanche’, mi ha detto, fai quello che vuoi con me, mi fido di te!”.Chalamet aveva sentito sempre brutte storie da attori alle prese con ruoli di persone vere o tuttora viventi. “Alla resa dei conti devo dire che la mia esperienza con questo film e con questa storia è stata l’opposto, è stata bellissima”, dice con sollievo. Quando Nic Sheff ha visto il film ha fatto solo un’osservazione critica a Chalamet, seppure in modo faceto: “Hey, mica mi vestivo così: mi piacerebbe avere la roba che indossi nel film!”. Spiega Timothée, che abbiamo incontrato a Los Angeles al Roosevelt Hotel di Hollywood Boulevard per il lancio di Beautiful Boy: “Io sono un figlio nella vita reale, voglio cioè dire che ho un rapporto strettissimo con entrambi i miei, papà e mamma, e sono pieno di gratitudine nei loro confronti. Questo sentirmi ancora figlio al 100% mi ha aiutato nella messa in scena di questo ruolo. Lo confesso: ancora non mi sono emancipato! – ride – Non mi sono ancora del tutto staccato dall’ovile, per certi versi sono ancora un pulcino nel pollaio”.Questa disarmante sincerità sicuramente ha conquistato non solo Guadagnino ma molti dei registi e produttori a Hollywood. Nell’era del #MeToo, Chalamet sembra incarnare un’innocenza d’altri tempi (ha reso personalmente noto, in un post su Instagram, di aver devoluto il salario per il ruolo nel film di Woody Allen ad associazioni di beneficenza che combattono gli abusi). Passa poi a un altro tema serio, sempre a proposito di Beautiful Boy: “Il tema centrale è la dipendenza da sostanze, quali che siano, ed è una malattia, e come una malattia deve essere trattata, ed è qualcosa che trascende l’età, la classe sociale, la razza, l’identità sessuale. Riguarda tutti, può colpire tutti. Per questo era importante per me essere onesto.Ha solo 22 anni eppure i suoi co-protagonisti lo definiscono un “old soul”, una “vecchia anima”: “Non so che dire, forse è così, boh?”, dice grattandosi i capelli ricci. “Di sicuro è vero che in questi ultimi due, tre anni, sono cresciuto tantissimo. Ad esempio ritrovarmi seduto davanti a voi, essere intervistato, scrutato, è una cosa che ti costringe a crescere in fretta e che nessuno ti insegna. Dicono che il cervello continui a crescere fino ai 25 anni… questo mi dà sollievo, ho ancora spazio di crescita. La testa si sta ancora formando, guai a montarmela”, conclude ridendo.

Silvia Bizio, repubblica.it

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