Festival di Venezia, “Roma” di Alfonso Cuaron vince il Leone d’oro

Festival di Venezia, “Roma” di Alfonso Cuaron vince il Leone d’oro

Di questa settantacinquesima edizione della Mostra del cinema di Venezia, quella di Guillermo del Toro presidente, di un’unica regista in corsa per il Leone, del boom di film Netflix alla faccia del festival di Cannes che li aveva banditi dalla gara, ci ricorderemo il primo Leone d’oro a un film prodotto dalla piattaforma, Roma di Alfonso Cuarón e la totale assenza di italiani tra i vincitori, nonostante ci fosse il documentario blues di Roberto Minervini, l’anti horror Suspiria di Luca Guadagnino e l’affresco storico di Mario Martone Capri – Revolution. D’altronde che il film messicano potesse agguantare il massimo premio era apparso chiaro fin dall’inizio, nonostante il potenziale conflitto di interessi con il presidente: “Cuarón ha vinto 9-0. C’è stata una decisione unanime della giuria” ha dichiarato Del Toro.

“Vediamo un po’ se lo pronuncio correttamente”. Guillermo del Toro ha scherzato chiamando sul palco “l’amigo” di sempre Alfonso Cuarón. Il Leone d’oro va al suo Roma, amarcord in bianco e nero dal nome del quartiere di Città del Messico dove abitava negli anni Settanta. Cinque anni dopo lo spettacolare Gravity, una fantascienza da Oscar che aveva debuttato proprio qui alla Mostra, il regista messicano consegna al pubblico (e a Netflix) il suo film più personale ispirato ai fatti della sua famiglia e della tata di origine indigene con cui è cresciuto.

“Grazie mille alla Mostra d’arte cinematografica” ha detto in italiano, poi ha proseguito in inglese “questo riconoscimento e questo festival hanno un significato immenso per me”, poi è passato allo spagnolo per ringraziare i tanti che hanno collaborato e in particolare alle attrici che hanno raccontato con dignità le donne che mi hanno cresciuto. “Oggi è il compleanno della donna che ha ispirato il personaggio di Cloe, vorrei cantare ‘tanti auguri a te’ ma forse non il caso. Posso dire però che il film è il prodotto del mio immenso amore per te, la mia famiglia e il mio Paese”.

Il Leone d’argento per la regia è stato assegnato a The Sisters Brothers. Sarà per via del suo regista che batte nazionalità francese, Jacques Audiard,alla sua prima prova in inglese e assente perché a Toronto, ma The Sisters Brothers con John C. Reilly, Joaquin Phoenix, Jake Gyllenhaal e Riz Ahmes è un western fuori dagli schemi. Soprattutto per via del personaggio di uno dei due fratelli “sorelle”, Eli (Reilly) che è un cowboy romantico, che sogna di abbandonare il mestiere di cacciatore di taglie per sposare una maestra, aprire uno spaccio e fare tanti figli. Ci sarebbe un’ultima missione da condividere con il fratello, più violento e dedito al bere, Charlie (Phoenix), prima di poter appendere la pistola al chiodo e tornare dalla sua innamorata, ma il cammino verso questo sarà irto di guai.

Willem Dafoe, mimetico protagonista di At eternity’s gate di Julian Schnabel che racconta gli ultimi anni della vita di Vincent van Gogh, è stato premiato con la Coppa Volpi maschile. L’attore di Scorsese e Wes Anderson interpreta il grande artista ribaltando alcuni cliché, dopo aver raccontato la sua lucida follia il regista – pittore infatti nel film rifiuta l’idea di un artista depresso e tormentato che sceglie di morire ma propone un’alternativa al suicidio ipotizzando un furto finito male da parte di alcuni ragazzi. Ma al di là della questione biografica, che per Schnabel non è così importante, il film si poggia molto sull’intepretazione dell’attore americano, ormai italiano d’adozione (come ha ricordato nel discorso di ringraziamento) da quando ha sposato la regista Giada Colagrande, che lo ha accompagnato sul redcarpet che restituisce la complessità di un personaggio così controverso capace di grandi slanci di generosità ma anche di furori e scatti violenti. “Nel nostro film Vincent Van Gogh dice io sono i miei dipinti, Julian Schnabel è il film e io devo ringraziarlo per questo regalo di avermi fatto diventare Vincent.” Alla moglie in italiano ha detto “grazie di cuore”.

La Coppa Volpi femminile è stata assegnata a Olivia Colman, incredibile regina Anna nel film La favorita. Del terzetto di attrici del regista greco Yorgos Lanthimos (che ha vinto il Gran Premio della Giuria), Colman è sicuramente la più talentuosa nonché la protagonista ma un po’ spiace che non siano state premiate, in un riconoscimento collettivo, anche le sue colleghe Emma Stone e Rachel Weisz. Bellissima in rosso l’attrice inglese, impegnata sulla serie The Crown in cui interpreta la matura regina Elisabetta dalla quale è scappata per ritirare la Coppa Volpi. La favorita è la storia – poco conosciuta – della regina Anna e delle due donne che se ne contesero i favori durante i suoi 12 anni di regno, mentre l’Inghilterra e la Francia erano impegnate in quella che viene considerata la prima guerra mondiale dell’epoca moderna. “Sono emozionata incredibilmente, ho dimenticato tutto quello che volevo dire – ha detto – oltre a voler ringraziare i suoi colleghi di set a partire dalle due attrici ha voluto dire qualche parola in italiano: “Mi sono innamorata della vostra bellissima città e sono davvero onorata che Venezia si sia innamorata del nostro film, grazie di cuore”.

Il premio Mastroianni a un interprete emergente, assegnato da Naomi Watts è andato al giovane attore di The Nightingale che interpreta la guida aborigena Billy, Baykali Gananbarr che ha ringraziato “le tre donne che hanno reso possibile questo film: la regista, la produttrice e la sua collega Aisling Franciosi”. L’unico film firmato da una regista donna, l’australiana Jennifer Kent, racconta l’epopea di una giovane irlandese nella Tasmania di fine Ottocento, un mondo di violenza e sopraffazione nei confronti delle donne e degli aborigeni, Clare dopo aver subito stupri, l’uccisione del marito e della bimba di pochi mesi, si mette in marcia per vendicarsi ma l’incontro con Billy cambierà la sua visione del mondo.

Il film ha anche ottenuto il Premio speciale della giuria ritirato dalla regista australiana che dal palco ha detto: “Il cinema è nel mio cuore, essere qui è un grande onore. A tutte le donne che vogliono fare film per favore andate, abbiamo bisogno di voi, la forza femminile è quella che più di ogni altra può guarire il nostro pianeta”. Infine ha dedicato il premio al popolo aborigeno australiano

La ballata western dei fratelli Coen The Ballad of Buster Scruggs targata Netflix ma prevista anche in sala almeno in America, un vero omaggio al genere in tutti i suoi topoi è stata premiata per la miglior sceneggiatura. Lo ha ritirato Tim Blake Nelson, protagonista del primo episodio, il più divertente, una sorta di minimusical a colpi di duello, in cui interpreta il pistolero canterino che trasforma il western in una commedia musicale.

Emozionante l’avvio della cerimonia, condotta anche in chiusura da Michele Riondino che, dopo le polemiche con il ministro Salvini di inizio festival, ha introdotto la serata dicendo: “È una decina di giorni che penso a quanto è importante e quanto mi ha dato la Mostra, sono cresciuto con la Mostra che mi ha dato i mezzi per diventare uno spettatore attivo e militante. Ho pensato a questo guardando le persone in fila tanto sono diverse ragazzini, signore, critici, tutti con un biglietto in mano e l’accredito appeso al collo. Cosa ci spinge a rimanere in fila? Tutti erano contenti di essere lì. Se tutto questo ha senso è perché abbiamo il coraggio di sognare questo insieme”.

I primi riconoscimenti sono per Venezia Classici, premiati dalla giuria di Salvatore Mereu: il miglior documentario sul cinema è The Great Buster: a Celebration dedicato a Buster Keaton di Peter Bogdanovich, il miglior restauro La notte di San Lorenzo di Paolo e Vittorio Taviani, ritirato dalla vedova di Vittorio.

Poi si passa alla sezione più futuristica della Mostra, la Venice Virtual Reality dedicata alla realtà virtuale che ha visto premiati Spheres Eliza Mcnitt (con le voci vip di Millie Bob Brown e Jessica Chastain), Buddy VR di Chuck Chae, L’ile de morts di Benjamin Nuel.

Il Leone del futuro, ovvero il premio dedicato all’opera prima, è stato assegnato al film siriano The day I lost my shadow della regista Soudade Kaadan, prodotto insieme alla sorella: “È la nostra lettera d’amore nei confronti del nostro Paese”.

Nella sezione Orizzonti nessun premio all’Italia (c’erano il rigoroso film su Cucchi, quello dal fumetto di Zerocalcare e Un giorno all’improvviso con Anna Foglietta), la giuria ha assegnato il miglior film a Kraben Rahu di Phuttiphong Aroonpheng, il premio speciale a Announcement di Mahmut Fazil Coskun, quello alla regia a Emir Baigazin per film The river, quello per la miglior sceneggiatura per Jinpa di Pema Tseden, ricordato alla Mostra per ‘O sole mio in tibetano. Il miglior attore è Kais Nashif per Tel Aviv on Fire che ha dedicato il premio alla nazionale degli attori e la miglior attrice Natalja Kudryashova per il film The man who surprised everyone “un film coraggioso che solitamente in Russia non si fanno” ha detto la sua interprete.

Il film di chiusura al termine della cerimonia è all’insegna dell’american dream: Driven, diretto da Nick Hamm presentato fuori concorso in prima mondiale, ispirato alla storia vera di John DeLorean, inventore della DeLorean DMC-12, auto diventata poi icona della trilogia di Ritorno al futuro.

Chiara Ugolini, Repubblica.it

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