Andrea Delogu: “Si può essere dislessici e fare tv”

Andrea Delogu: “Si può essere dislessici e fare tv”

«Vent’anni fa la dislessia “non esisteva”. Cioè, ovviamente esisteva, io ero e sono dislessica e lo so bene, ma pochi ne avevano sentito parlare e quindi se eri il più lento della classe, ti sedevi sempre scomposto, scrivevi male, stavi attento solo per pochi minuti, semplicemente eri svogliato e con il profitto insufficiente. Ho dovuto fare i conti con questo disagio a lungo».

Un libro che racconta

Andrea Delogu, conduttrice radiofonica e televisiva, volto noto di RaiDue (da cinque anni è al timone del programma Stracult) oggi racconta con ironia e sincerità la sua vita da dislessica, una «caratteristica» che non ha mai nascosto e di cui ha spesso discusso sui social e in altre situazioni pubbliche e alla quale ora dedica anche il suo ultimo libro: “Dove finiscono le parole. Storia semiseria di una dislessica”. Il volume, pubblicato da RaiLibri, è allo stesso tempo testimonianza e terapia. L’obiettivo è quello di dare un contributi a chi si occupa di questo disturbo, non a caso parte del ricavato delle vendite andrà all’Aid (Associazione Italiana Dislessia, www.aiditalia.org), e ricordare che i dislessici “funzionano” in maniera diversa dagli altri, e che questa caratteristica può mettere in difficoltà, ma non è detto che si trasformi in un ostacolo per il successo.

Le scuole da bambina

Partiamo dall’inizio: quali sono i problemi che ha dovuto superare da piccola? «Sono stata una bambina spigliata che si è sempre data da fare. Ho imparato a leggere recitando, così riuscivo a guadagnare un po’ di tempo extra e a dare un senso alle parole. A scuola si sono manifestate le più grandi difficoltà, soprattutto quando ci chiedevano di leggere ad alta voce e io faticavo non poco mentre gli altri erano tutti molto bravi. Oppure al ritorno dalle vacanze quando i compagni avevano letto almeno tre libri ed io non ne avevo finito nemmeno uno. Ero convinta che chi sapeva le tabelline fosse un genio. Io non riuscivo proprio a impararle, come era complicato capire quante mele ci fossero in un cestino, un classico esempio di esercizio». Gli insegnanti la capivano? «Mica tanto, dicevano ai miei genitori: “È intelligente ma non si applica”. Io invece mi applicavo e pure tanto, e sapevo di essere intelligente e questa cosa mi faceva arrabbiare. Pensavo che i maestri fossero dei bugiardi. Ho un carattere un po’ fumantino, quando sapevo di non avere colpe non me la prendevo. Lo sentivo che non era tutta colpa mia». Come reagivano i suoi genitori? «Mamma e papà hanno sempre riposto una gran fiducia nel mio istinto di sopravvivenza e hanno accettato stoicamente e pazientemente tutti i miei brutti voti, pur non lesinando rimproveri e punizioni quando era necessario».

La «scoperta»

Quando si è resa conto di essere dislessica? «Un pomeriggio, su un autobus, ho visto un video su YouTube che mi ha aperto un mondo. Un video in cui si vedevano scorrere delle parole “interrotte”, capovolte, storpiate, simili a quelle della pagina precedente. Andavano velocissimo, io volevo tentare di afferrarle ma erano davvero troppo rapide. Allora ho capito: il video era dedicato a chi voleva comprendere il disagio che sperimenta un dislessico davanti a un testo scritto. Finalmente il mio modo di vedere le lettere e i numeri aveva un nome. Esisteva davvero. È stata una vera e propria epifania riconoscerlo, mi ha dato una gran forza, ho capito che non ero sola e questo ha fatto la differenza». Come affronta la sua vita da dislessica? «Intendiamoci, la vita da dislessica può essere normalissima, l’importante è impadronirsi degli strumenti compensativi. Sono di grande aiuto il correttore di bozze che segna in rosso l’errore mentre scrivo, la registrazione in audio con il telefono quando facciamo delle riunioni di scaletta per i programmi che mi evita di prendere appunti ma soprattutto pretendo il tempo a me necessario per scrivere. Ho trovato la serenità della lettura mettendoci un po’ di più degli altri, ma pazienza».

La carriera

È stato un limite per la sua carriera? «Alla fine si è trasformato in un vantaggio perché sin da piccola ho dovuto mettere in campo la tattica dell’intrattenimento. Con quel poco che sapevo facevo un piccolo show in classe. Da grande ho imparato a non avere vergogna di questa mia caratteristica. Se sbaglio lo dico, anche nei programmi che conduco. Chiedo scusa spesso, ci scherzo sopra, mi correggo e vado avanti». Riceve testimonianze di altre persone? «Tantissimi genitori mi scrivono mail in cui mi raccontano le storie con i loro figli, con i maestri. Per fortuna, ci sono docenti che sono davvero bravi, amano il loro lavoro e diventano quasi dei compagni. Altri purtroppo credono che non esista la dislessia, non mettono in conto che possano essere loro a sbagliare. Ricevo tanti messaggi di adulti, e questa cosa mi commuove, che stanno scoprendo di essere dislessici leggendo il libro e fanno pace con il loro passato, come era capitato a me quando ho scoperto di essere dislessica».

Consigli d’autore

Com’è il suo rapporto con la tecnologia? «La rete è sempre venuta in mio aiuto. Io la amo proprio, credo sia uno strumento validissimo, io l’ho scoperta alla fine del 2007. In giro si parlava di MySpace, un social network che si basava sulla condivisione di interessi per lo più musicali. Mi ricordo che pubblicai online i primi post in cui raccontavo senza prendermi troppo sul serio quello che mi accadeva in redazione o nella vita amorosa, oppure in famiglia. Arrivarono i primi commenti ai miei post. Era gente che si divertiva con me, ma anche mi faceva notare gli errori commessi, le mie frasi un po’ “sgrammaticate”». Un suggerimento per i lettori? «Il font con cui questo libro è stato stampato è ad alta leggibilità, adatto sia ai dislessici che ai non dislessici. Se non riuscirete a finirlo tutto, non abbattetevi: anche se avete un disturbo specifico dell’apprendimento, siete fichissimi e avete il mondo a vostra disposizione. Procedete a testa alta e non credete a chi cerca di farvi sentire sbagliati. Non lo siete».

Isa Grassano, Corriere.it

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