È con il racconto del “Caso Sicilia” che si apre l’appuntamento con Tv7, in onda a mezzanotte su Rai1. Gli ospedali al limite, i ricoveri raddoppiati in 10 giorni, gli interventi delle ambulanze di Palermo passati da 80 a 180. L’ospedale “Cervello” è saturo, fuori da quello di Partinico code anche di 20 ambulanze. Palermo è zona rossa mentre va avanti l’inchiesta della Procura di Trapani che accusa i vertici dell’assessorato alla Sanità di aver falsificato i numeri: le intercettazioni parlano di 190 decessi nel 2020 e mai registrati. La Sicilia, però, è anche quella che ha un hub per le vaccinazioni dove i fragili sono stati vaccinati per primi e che, nonostante l’emergenza, accoglie da Brindisi un paziente Covid di 37 anni che rischia la vita. A seguire, la storia di Marco, gestore di un impianto di risalita all’Abetone, che ha investito 800.000 euro per una seggiovia nuova e non l’ha mai messa in funzione; poi Niccolò, un mutuo e un bimbo, è maestro di sci in inverno e cameriere in hotel d’estate: non lavora da un anno. Come Arsim, cuoco in un hotel di Roccaraso. Quella appena conclusa passa alla storia come la prima stagione invernale mai partita: gli impianti sono chiusi dall’8 marzo 2020. Albergatori e ristoratori, imprenditori, maestri di sci, stagionali: tutti lamentano la scarsità dei ristori ricevuti. Il governo ha stanziato 700 milioni per l’economia della montagna, da ripartire in base alle presenze alberghiere. Così oltre il 60% dei fondi andrebbe alle province di Trento e Bolzano mentre alle località dell’Appennino, che lavorano con turisti pendolari più che con i pernottamenti, resterebbero solo le briciole.
E ancora, un traghetto in fiamme ignorato per ore, una verità processuale sconfessata con prove logiche e documentali, trent’anni di contraddizioni. E 140 morti. Il 10 aprile del 1991 il disastro del Moby Prince. Solo dopo anni di battaglie dei familiari delle vittime ed il lavoro di una commissione parlamentare, gli errori nei soccorsi, la posizione irregolare della petroliera, gli accordi tra compagnie hanno smontato la versione “ufficiale” degli eventi: l’errore umano. Trent’anni dopo, l’eredità per la verità sulla strage la stanno raccogliendo i figli delle vittime, giovani studiosi che offrono collaborazione ai periti di parte civile, i ragazzi che sui social e a scuola chiedono di conoscerne la storia.
A Minneapolis è in corso il processo per George Floyd. Alla sbarra Derek Chauvin il poliziotto che ha provocato la morte dell’afroamericano schiacciandogli il collo con il ginocchio. Nove interminabili minuti di agonia che il mondo ha potuto vedere grazie al video di una diciassettenne che ha avuto la forza di non fermarsi davanti all’orrore. Ora tutti aspettano la sentenza per capire se è finito il tempo dell’impunità per la polizia americana. Tv7 ne discute con Alessandro Portelli che ha insegnato letteratura americana alla “Sapienza” di Roma, Stefano Pistolini de “Il Foglio” e Marina Catucci corrispondente a New York per “Il Manifesto”.
Aspettano le consegne col cellulare tra le mani, sfrecciano tra le vie delle nostre città, ci consegnano cibo a domicilio in bici o in motorino, aiutano ristoranti e pizzerie a mantenere viva la loro attività. A Milano le storie di chi – non più giovanissimo – ha scelto di fare il rider per reinventarsi, per compensare la perdita di un lavoro o per sostenere la famiglia. Vite in attesa di una chiamata, di un ordine, di un contratto migliore. Nel caos dell’inquadramento professionale, arrivano le prime assunzioni come lavoratori dipendenti ma la strada è ancora lunga e in salita.
“Non ho mai pensato di fare altro nella vita. A 5 anni dissi a mia mamma: voglio fare il cantante. O meglio, voglio fare Celentano”. Stefano Bollani, compositore, pianista e cantante ma anche showman e scrittore, racconta il suo ultimo disco – due concerti per pianoforte e orchestra con spunti di filosofia orientali – e il suo “giocare con la musica”. Poi, le privazioni per il covid: “I concerti mancano, ma non la creatività. Quando torneremo a farli sarà un’esplosione”.
Infine, dagli archivi di Tv7, alla scoperta di Milano con gli occhi e la curiosità dei più piccoli. È il 1965 e alcuni bambini di prima media, per svolgere un tema dal titolo “La mia città”, vanno ad intervistare – seguiti dalle telecamere – alcuni lavoratori per sapere qual è il loro mestiere, se sono contenti, quanto guadagnano, di cosa si lamentano. Un benzinaio, un operaio, un manovale, un vigile, un macellaio. Un approfondimento sul “lavoro dei grandi”.