«È la mia prima volta agli Oscar ed è eccitante. Non tanto per il premio in sé stesso quanto per quel che significa. Lavoro da tanto tempo e se questa attenzione vuol dire più registi che prendono in considerazione l’idea di darmi una parte, bene, non chiedo di meglio». Amanda Seyfried calca il set da quasi vent’anni pur avendone solo 35. Ora ha ottenuto una candidatura fra le attrici non protagoniste grazie alla sua interpretazione di Marion Davies, una delle prime vere dive di Hollywood.
Il film è Mank, in bianco e nero, targato Netflix e diretto da David Fincher, che racconta la figura di Herman Mankiewicz (Gary Oldman), soprannominato Mank, lo sceneggiatore di uno dei capolavori del cinema americano, «Quarto Potere» di Orson Welles. Marion Davies, bellissima, biondissima, con un paio di occhi grandi chiari, fu una delle più celebrate attrici brillanti di quell’epoca pionieristica. Ebbe successo, ebbe soldi, seppe amministrarli. Visse la sua vita sotto i riflettori. «Il mio successo? Cinque per cento talento, 95 pubblicità», amava dire, anche se, riguardo al talento, si sminuiva.
Amanda Seyfried che la interpreta è altrettanto bionda, è dotata degli stessi grandi occhi chiari, ma no, lei la luce dei riflettori non la ama. Quando non è sul set si rifugia nella sua casa-fattoria, a nord di New York, dove vive insieme al marito, l’attore Thomas Sadoski e i due figli. «Ero incinta del secondo quando abbiamo girato le ultime scene di “Mank”. Anzi, in realtà il film era già finito ma Fincher ci ha richiamato sul set. L’ho odiato per questo ma mi sbagliavo. L’atmosfera quella seconda volta è stata magica, è stato uno di quei momenti in cui ti ricordi perché ami alla follia il tuo lavoro».
Quel mondo, la Hollywood in bianco e nero degli albori, lo conosce bene: «Ho una cultura in fatto di cinema muto. La devo a mio padre che possiede, impilata in cantina, un’intera collezione di film di Charlie Chaplin, Buster Keaton, Stan Laurel e Oliver Hardy. Però Marion Davies no, lei ho imparato a conoscerla girando Mank e ho capito che era una donna molto in gamba, indipendente, avanti con i tempi, intelligente e talentuosa. Il fatto è che sono pochi i nomi delle attrici che ci ricordiamo di quell’epoca. L’ineguaglianza fra sessi allora era enorme. Non so se sarei riuscita a resistere in quell’ambiente». Ma siamo nel 2021 e le cose sono cambiate. «Fortunatamente, sì. Sono cambiate molto anche solo prendendo in considerazione un periodo più recente, fra i miei inizi, con “Mean Girls”, e il presente, ad esempio».
«Mean Girls», ancora oggi considerato come uno dei capisaldi della commedia adolescenziale americana, è stato il film che le ha fatto cambiare mestiere dopo un esordio da modella. «Ho iniziato a 11 anni, non ero certo bella e portavo l’apparecchio per i denti, ma ero alta e ciò sembrava bastare per sfilare. Guadagnavo bene, era anche divertente ma il cinema è la mia passione». Poi sono arrivati registi come Nick Cassavetes e David Fincher, compagni di set come Meryl Streep e Russell Crowe, musical come «Mamma mia!» e «I Miserabili», drammi come «Lovelace», altra biografia cinematografica, che racconta di Linda Lovelace, protagonista di quello che è considerato il primo film pornografico della storia, «Gola Profonda».
«Le scene di nudo non sono state complicate in quel film, sapevo che interpretavo una porno star e non mi preoccupavo. La violenza psicologica, quella invece mi terrorizzava. È stata una pellicola difficile da girare». Era stato il padre a convincerla: «Lesse la sua biografia, si commosse e quasi in lacrime mi pregò: devi essere la sua voce». Su quel set conobbe Sharon Stone, che interpretava la madre. «Siamo diventate amiche. Anche con Meryl Streep sono molto amica». Con la Streep ha condiviso il set di «Mamma Mia!»: «La adoro, siamo così simili che siamo virtualmente la stessa persona».
Prima di «Mank», nel thriller «Cappuccetto Rosso Sangue», la Seyfried aveva già lavorato con Gary Oldman. «Non me lo ha confessato ma so che è stato lui a farmi avere la parte. È più facile quando già ci si conosce, è come prendere una scorciatoia». Amanda Seyfried, che abita in campagna e ai lustrini preferisce i jeans — ne possiede una vera collezione —, un abito da sera per gli Oscar dovrà indossarlo.
Francesca Scorcucchi, Corriere.it