È piccolo, pratico, potente e piace tanto anche ai registi. Sul set dell’ultimo corto di Gabriele Muccino, «Living in a movie», non c’erano telecamere. L’unico strumento di ripresa era lo Xiaomi Mi 11 5G, uno smartphone che veniva impugnato da lui stesso e dagli operatori a mano libera. «Lo schermo dello smartphone mi permette di vedere subito se l’inquadratura che ho in mente corrisponde a quella della ripresa — racconta il regista —. Il telefono è un mezzo democratico, con cui si possono realizzare film e corti di qualità con un costo ridottissimo e tempi molto più brevi».
Tempo e denaro sono i due punti nodali degli «smartphone movie». Malik Bendjelloul per il suo documentario premio Oscar «Searching for Sugar Man» (2012) ha usato un telefono e un’app da due euro che simula una vecchia cinepresa 8 mm. Aveva finito il budget ed era l’unico modo per proseguire la lavorazione. Anche il capostipite dei film girati con un cellulare è nato per carenza di fondi. È «Sms Sugar Man» del sudafricano Aryan Kaganof del 2008, che non ha guadagnato la palma di primo «smartphone movie» solo perché gli smartphone ancora non c’erano (aveva usato otto Ericsson W900i).
L’assenza di fondi si unisce all’arte in «Tangerine», capolavoro del cinema indipendente del 2015. Sean Baker era stato costretto a girarlo con tre iPhone 5s perché non poteva permettersi telecamere di alta qualità ma ha saputo fare di necessità virtù. Il film è girato all’interno di un’angusta caffetteria americana dove le telecamere professionali non sarebbero potute entrare ma uno smartphone sì (e chiusa la lavorazione uno l’ha venduto per pagare l’affitto di casa). Un’altra «indie» come Jennifer Zhang ha fatto tutto col telefono: il suo «Charon» è stato anche montato con un’app.
Sono però le piccole dimensioni del telefono ad aver stregato i registi che non hanno problemi di budget: possono muoversi liberamente sul set, creare un maggior contatto con gli attori, nasconderlo per scene «rubate». C’è chi lo usa a mano libera, chi lo mette sul cavalletto e chi sfrutta il gimbal, lo stabilizzatore che tiene il telefono sempre puntato sul soggetto, ma anche chi sperimenta. Nel thriller psicologico «Unsane» (2018) di Steven Soderbergh ci sono scene di psicosi in cui si vede la protagonista muoversi senza sosta mentre viene inquadrata in viso e sulla nuca. Un artificio possibile grazie a un’imbragatura ideata sul set che manteneva i telefoni all’altezza della testa senza pesare sull’attrice. Un altro sperimentatore come Gondry è riuscito a proporre le sue magie anche sul piccolo dispositivo: si stenta a credere che per il corto «Détour» abbia usato solo degli iPhone. «Nessuno si è accorto della differenza. Solo gli addetti ai lavori possono coglierla» aveva detto l’81enne Claude Lelouch del suo «I migliori anni della nostra vita», di cui un terzo è girato con lo smartphone. Il cellulare ha ancora tanti limiti, primo tra tutti le ottiche — in «Tangerine» Baker ha usato una lente anamorfica da 100 euro — ma compensa con l’intelligenza artificiale. I dispositivi attuali come il Mi 11 usato da Muccino hanno algoritmi che ricostruiscono digitalmente la ripresa per renderla più simile alla realtà. «La possibilità di girare di notte, senza alcuna luce aggiuntiva e avere tutto così bello, illuminato e vivo era una novità anche per il direttore della fotografia», racconta il regista che per ora però è cauto: «Tornerò a utilizzare lo smartphone per fare film solo se ce ne sarà bisogno. Rimango affezionato alla cinepresa».
Alessio Lana, Corriere.it