(di Tiziano Rapanà) L’indiscrezione che fa da vedette e torna alla ribalta al centro della scena. Ma non c’è nessuno spettacolo, è solo suggestione: chi va e chi resta? Ed esondano i fiumi delle anticipazioni, legate all’uso del verbo al condizionale presente. Lui potrebbe andare di là, quell’altro potrebbe restare di qua ed è così che si parla di Rai. Tra commenti velenosi legati all’acrimonia tutta ideologica, di chi non vedeva l’ora di vedere il precipizio. Se si potesse ribaltare l’ovvio, ossia: consegniamoci all’attesa. Ma, come sempre, ci si ritorce nella possibile ipotesi che è quella più congeniale, la prediletta. Uno potrebbe abbandonarsi ad un’idea di oggettività, legata inevitabilmente a quando si dovrà fare di conto (e se i numeri saranno implacabili, pazienza). Adesso è il caso di fermarsi un po’. A questo punto è meglio un commento in più sull’ultimo modesto brano dei Beatles, almeno si offre l’opportunità al lettore di approfondire un mondo che è stato il pilastro rivoluzionario dell’industria musicale. Del bene che ha fatto George Martin e degli eccessi dannosi di Phil Spector in Let it be. Questo sì che è un bel terreno da confronto, da battagliuccia culturale. Altro discorso è discutere sulla qualità dei programmi e uno è giustamente padrone di questionare a piacimento, sguainando la scimitarra della ferocia. Perché è giusto essere crudeli, le critiche costruttive non servono a nulla ed il lettore non si diverte. Sul resto non è il caso di perdere tempo, la gente non arriva alla fine del mese.