Il grande trombettista non finì mai quest’album. Ma è un capolavoro
Nel 1985 Miles Davis lasciò la sua trentennale collaborazione con la Columbia – con cui aveva pubblicato i suoi capolavori – per entrare nella scuderia della Warner Bros.Se ne andò a Los Angeles, influenzato dalle sonorità funky, groove e rock’n’roll e si mise a lavorare a un nuovo album, intitolato Rubberband, che segnava un radicale cambiamento rispetto alle sonorità che lo avevano reso «il divo Miles». Avrebbe dovuto essere un album funky con ospiti come Al Jarreau e Chaka Khan e influenzato persino dal pop britannico degli Scritti Politti. Invece l’artista abbandonò il progetto e si mise a lavorare a Tutu, un disco – con i suoi pro e contro – rimasto nella storia.Rubberband però non è morto, e rinasce oggi come inedito con la produzione di Randy Hall e Zane Giles. Quattro brani, tra cui quello che dà il titolo all’album, erano già stati pubblicati per il «Record Store Day», ora esce tutto il disco, composto di undici tracce che mostrano quanto Miles Davis fosse pervaso in quel periodo dal sacro fuoco del funk. Nell’up tempo Give It Up, ad esempio, si sente chiaramente la sua voce di catrame che chiede ai chitarristi «il suono funky dei più grandi esponenti del ritmo: James Brown e Prince». «Quello era il sound che Miles amava – testimonia Hall – e lui ha semplicemente colto nel segno e suonato esattamente sul tempo».Davis nel disco suona sia la tromba che le tastiere, a partire da Rubberband of Life qui in due versioni; una rielaborazione della traccia originale in un dialogo antifonale con la voce della cantante Ledisi, e una con il mixaggio originale che chiude il disco, con Mike Stern alla chitarra. «È come Bitches Brew – enfatizza Giles – ma con il funk al posto del rock’n’roll e dell’acid jazz».Partendo dalla base suonata da Miles, ma rielaborata da Hall e Giles, diventa un piccolo capolavoro la profonda ballata soul So Emotional, cantata da Lalah Hathaway, figlia del soulman Donny e il dialogo voce e tromba colpisce al cuore. L’intensa I Love What We Make Together è stata scritta da Al Jarreau. Il virtuoso cantante avrebbe dovuto interpretarla ma è morto pochi giorni dopo la stesura. Il nuovo arrangiamento ricorda il clima ineguagliabile di Bitches Brew.Echoes of Time è forse il brano che soddisferà di più il palato dei jazzofili. Miles suona tromba e tastiere con un senso di dolorosa urgenza e infinito intimismo. «È Miles – dice Hall – che suona quegli accordi con quei bellissimi movimenti e dissonanze». Per questo gli è stato dato questo titolo, perché la tromba produce un eco e sembra che Miles stia riflettendo sulla sua stessa vita. Nel disco i momenti pacati e rilassati si alternano a quelli scatenati e vibranti, con anche un tocco di hip hop a colorire il tutto. Nota d’altri tempi; così come Miles invitava a casa sua i critici, preparava loro da mangiare e gli faceva ascoltare il nuovo prodotto, la Warner ha radunato i giornalisti in ufficio – cosa ormai rara – per ascoltare la versione in doppio lp del disco.
Antonio Lodetti, ilgiornale.it