NATALIE PORTMAN: “ECCO LA MIA JACKIE, REGINA SENZA TRONO”

NATALIE PORTMAN: “ECCO LA MIA JACKIE, REGINA SENZA TRONO”

Alla Mostra in concorso il film di Pablo Larraín in cui l’attrice premio Oscar interpreta Jacqueline Kennedy: “Michelle ha una personalità tutta sua. Non avrebbe senso paragonarle”

natalie-portmanLA SFIDA era nascondere la diva dentro la first lady. Natalie Portman è Jackie, Kennedy. Sulla carta un ruolo pericolosissimo di cui l’attrice, era consapevole: “Mi sembrava una di quelle scelte che ti conducono dritto al fallimento. Ero terrorizzata. Poi ho incontrato Pablo e ho capito che non sarebbe stato il solito biopic”. Non lo è, Jackie di Pablo Larraín, prima prova americana per il regista cileno, in concorso alla Mostra. Un ritratto che scava oltre l’immagine pubblica di Jacqueline Lee Bouvier, già Kennedy e non ancora Onassis, e si concentra sui giorni che seguirono l’assassinio del marito presidente, il 22 novembre 1963. Natalie Portman ha girato il film a trentaquattro anni, la stessa età che aveva Jackie quando si trovò senza marito, senza un padre per i suoi figli e con le responsabilità di quella che Larraín definisce “una regina senza trono”.

Signora Portman, come si è preparata a diventare Jackie?
“La fonte principale è stata la lunga intervista che le ha fatto Arthur Schlesinger. Sentendo la registrazione sembra una conversazione tra amici. L’intervista era stata corretta da lei, i momenti migliori per me erano quelli che lei aveva censurato. Era attenta alla cura della sua immagine e dell’eredità del marito. Poi ho rivisto mille volte il tour della Casa Bianca girato per la tv, e che abbiamo ricostruito. Ne ho studiato accento, andatura, espressioni del viso. Di lei ho scoperto l’umorismo tosto, la crisi di fede, l’essere una figura pre-femminista. E poi ho cercato di non farne una caricatura”.

Jacqueline Kennedy è diventata un modello per le first lady venute dopo di lei.
“Sì. Ha affiancato il presidente con un suo progetto personale: ristrutturare la Casa Bianca. Con l’idea di celebrare e raccontare la storia americana per la prima volta attraverso oggetti simbolo. In Francia aveva visitato Versailles, sapeva che ci sono luoghi che aiutano una nazione ad avere una propria identità. Grazie a lei e Eleanor Roosevelt le first lady si sono ritagliate un ruolo attivo, non solo di sostegno al marito”.

Michelle Obama ha amplificato questa tendenza.
“Michelle ha una personalità tutta sua. Se l’accostassi a Jackie mi sembrerebbe di renderla più piccola”.

Oggi una ex first lady corre per diventare presidente.
“È un passo importante. Più le donne sono rappresentate, al cinema e fuori, più aumentano le possibilità di tutte. Non è necessario dipingerci come guerriere, si può essere femministe anche mostrando le nostre debolezze. Siamo umane, siamo diverse”.

Che rapporto ha con la Mostra?
“Qui a Venezia ho portato il primo corto da regista, e poi Il cigno nero di Darren Aronofsky. Stavolta la mia è una presenza doppia. C’è anche Planetarium di Rebecca Zlotowski. È la prima volta che giro con una donna, a parte me stessa. E che lavoro con qualcuno di cui ero amica da prima del set. Rebecca mi conosce profondamente, cosa che rende l’esperienza unica”.

Repubblica

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