La regista, figlia di Alain, apre la kermesse con «Magari». Tra i protagonisti Scamarcio
Nostalgia. Felicità. Desiderio. Vagheggiamento. In una parola, «magari». Italica interiezione che più di ogni altra racchiude sfumature di senso, talvolta perfino opposte.Uno spiraglio di speranza e un tocco di malinconia che convivono in un termine assente da ogni vocabolario ma presente nei cuori dello Stivale. E Magari è anche il titolo del film di Ginevra Elkann che apre – fuori concorso -il Festival di Locarno e nelle sale uscirà a marzo 2020. È il racconto di una bambina di nove anni che vive la disperata separazione di papà e mamma senza smettere di sognarne un ricongiungimento. E gli occhi della piccola Alma sono in realtà quelli della regista, figlia di Margherita Agnelli e Alain Elkann, nipote dell’Avvocato e sorellina di Lapo e John.Il racconto è autobiografico e molto della famiglia dei Kennedy alla piemontese a filtra in questo racconto, accorato e tenero, che inquadra il dramma dei divorzi con i sentimenti dell’infanzia. Una prospettiva coraggiosa su un tema ampiamente frequentato dal cinema che, non a caso porta in primo piano i tre figli della coppia scoppiata, forse più marcatamente protagonisti di un Riccardo Scamarcio, finalmente liberato dal marchio gangster pur mantenendo l’impronta del cattivo di turno. Decisamente più intimista nelle vesti di Carlo, un padre dedito al lavoro, anche in questo caso fortemente autoreferenziale visto che di professione è uno sceneggiatore.Il terzetto di ragazzini svetta anche su Alba Rohrwacher, una collega di Carlo, tratteggiata con pennellate rapide e incursioni su una scena di cui non è né padrona né complice. Perché i magari sono quelli di Alma che prega per un nuovo matrimonio dei genitori. Offre sacrifici infantili ma sentiti a un dio lontano e vicino allo stesso tempo. Coincidenza di quegli stessi opposti, cui l’interiezione fa eco. E l’anafora conclusiva di quei desideri, annotati sulla carta e nell’immaginazione, fa rima con lo sgargiante cromatismo dei titoli di coda, anch’essi idealmente gettati su un album da disegno da quarta elementare. Specchio di un’anima candida e pura che invoca la pace e plasma la realtà a misura di famiglia. Unita. E poco importa se patriarcale o matriarcale. «È stata una sfida creare un gruppo di due adulti, due ragazzi, una bambina e un cane. Il rischio era quello di recitare tutti a quattro zampe. Invece il miracolo si è compiuto. E siamo diventati una famiglia» ha commentato Scamarcio nel impersonare ciò che non è. Un padre. Mentre Ginevra Elkann – con un occhio alla Archibugi e l’altro a Rohmer – si è tolta la maschera. «Ebbene sì, lo ammetto, la piccola Alma sono io. E il suo modo di sognare una famiglia è anche il mio. Tutti seduti al tavolo del cuore». Magari. Talvolta accade.
Stefano Giani , ilgiornale.it