Cannes, Jodie Foster: «Da ragazza non c’erano registe sul set, oggi so di essere un modello»

Cannes, Jodie Foster: «Da ragazza non c’erano registe sul set, oggi so di essere un modello»

A piedi nudi sulla Croisette. Jodie Foster si gode ogni momento del suo ritorno a Cannes, dove tutto iniziò con «Taxi driver» di Martin Scorsese, era il 1976, lei aveva tredici anni. Arrivata per ricevere una Palma d’oro d’onore per una carriera oggettivamente unica, attrice per i registi più grandi del mondo, regista lei stessa, produttrice. Raggiante ha ricevuto il premio da Pedro Almodóvar, con anche Bong Jooh Ho e Spike Lee in modalità boys adoranti. Con un discorso in francese perfetto.

«Applaudite forte, fa bene uscire di casa, immagino non vedeste l’ora. In molti abbiamo passato un anno in una bolla, isolati, alcuni hanno dovuto misurarsi con la sofferenza. È stato un anno di transizione, io l’ho trascorso insieme ai film di Martin Scorsese, Akira Kurosawa, Lina Wertmueller, Wong Kar-Wai e del signor Presidente – Spike Lee, invidiosissimo del suo francese impeccabile, ndr – Ora basta pigiama… Anche se le sale sono state chiuse il cinema continua, si evolve, l’energia che ci fa riscoprire la magia del cinema. Dopo oltre 45 anni dalla Palma d’Oro a “Taxi Driver” la magia non è cambiata. Sono fiera di far parte del mondo del cinema e il futuro si farà insieme, tutti insieme. Grazie».

Felice anche alla cena ufficiale, accanto alla moglie Alexandra Hedison, si sfilata i sandali con tacco vertiginoso e ha attraversato la sala, a piedi scalzi. E raggiante anche durante il Rendez-vous con il pubblico (adorante, con moltissimi giovani) il 7 luglio pomeriggio. «La Palma d’onore? Un momento molto toccante, la sala che si alza per me, proprio qui o dove ho iniziato con “Taxi driver”. Cosa provo? Un misto di nostalgia, amore per il cinema, il pensiero ai registi che hanno ispirato i il mio lavoro».

Una vera «enfant Cannes», Jodie. Che dedica anche un ricordo alla Jodie ragazzina. «C’è una storia triste che non racconto spesso. Stavo per partire quando il mio cane, Napoleon, uno yorkshire, è caduto dalle scale ed è morto. Mi sono chiusa in bagno e non volevo più uscire. È stato uno dei momenti più tristi della mia vita, ma l’ho tenuto per me. Ho pensato: vado a Cannes e faccio questo sacrificio in onore dell’essere che amavo più al mondo. La vita come il cinema, dolore e gioia». Non si è mai tirata indietro. Nonostante, una madre, ricordata due volte, che le sconsigliava di fare la regia, non un mestiere per donne, soprattutto se sei già affermata come attrice.

Ha esordito con «Il mio piccolo genio», l’ultimo è stato «Money Monster». Ha molti progetti in attesa («Ma il film su Leni Riefenstah, una donna ambiziosa che ha messo il suo talento al servizio del male, non lo farò. Forse se lo faranno altri la interpreterò da vecchia»), ma ha scelto di prendersi tempo, per il lavoro e la vita. «Ho avuto tanti padri cinematografici, quello che mi è mancato sono stati esempi di donne al comando nel nostro mondo. Da ragazza se c’era una donna sul set era la truccatrice a parte le attrici. Ho imparato a non aver paura di essere forte, di prendere decisioni. E oggi sono consapevole della responsabilità di essere io un modello».

Stefania Ulivi, corriere.it

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