Da un paio di giorni è arrivato l’annuncio: Pippo Baudo condurrà la nuova Domenica In. E subito è scattato il parallelo con la politica. Se Pippo, che la tv italiana l’ha praticamente fondata, torna in sella, vuoi che a cavallo non rimonti anche tutta la “ditta” popolar-post comunista che da due anni è stata confinata nelle soffitte di Palazzo Chigi? Oppure: vuoi che Renzi non si infuri con quei mollaccioni che invece di rottamare l’establishment del video ci fanno comunella?
Ma mai parallelo fu più divergente perché, a ben pensarci, la politica si basa sulla rottamazione, mentre la televisione in principio la esclude.
La politica riguarda la rappresentanza, e se gli elettori gli tolgono i voti chiunque viene rottamato. Tant’è che in fondo Renzi, specialista di story telling, non ha fatto altro che dare un nome a una cosa che già c’era, e cioè la crisi di voti e rappresentanza del vecchio centro-sinistra proponendo l’accantonamento del relativo pantheon. La politica ha anche a che fare col governo (sviluppo, sicurezza, sanita, finanze etc), e così talvolta accade che venga rottamato dai problemi anche chi di voti ne ha presi un mucchio: così Berlusconi nel 2011, così, addirittura in via preventiva, i vincitori della Brexit, che se la sono squagliata all’inglese. E non per caso tutta Roma tiene gli occhi sulla giunta Raggi, come si guarda l’equilibrista sul filo tra cose e chiacchiere.
Nulla di tutto ciò vale per la televisione che nel suo insieme altro non è che un linguaggio fatto di suoni e immagini. E non si è mai viso un linguaggio che sia stato rottamato, neppure le lingue morte che si sono piuttosto evolute nelle lingue correnti. Alla lingua corrente, composta di parole agganciate a concetti, la lingua televisiva aggiunge le facce dei “personaggi”, che sono tali perché sono agganciati a ricordi. Sono le figurine/figurone dello star system, i volti noti che richiamano qualcosa alla mente, e che possono essere usati e riusati all’infinito perché in tv comanda il ri-trovare, il ri-conoscere, il ri-significare, il ri-attualizzare.
E se il riciclaggio creativo vale per le parole, figuriamoci per Pippo Baudo che sta per il baudismo, che non è il peggiore rispetto al marzullismo, allo sgarbismo, al reporter da faldone giudiziario, al cuoco severo, all’adolescente da real time e via sgomitando.
Quindi il punto non è se Pippo sia vecchio o giovane all’anagrafe del proprio paese, ma solo se risulterà inserito in un contesto originale. E questa è materia di autori, non una questione di principio fra il rottamare e il non rottamare. Quindi, per quanto ci riguarda, staremo a vedere. Sempre che la Domenica Pomeriggio ci trovi in casa. E se ci dovesse scappare l’uffah, non accadrà per la mancata rottamazione di Pippo, ma perché sarà stato il programma a sembrarci un rottame.
Stefano Balassone, Il Fatto Quotidiano