Il regista fondatore della compagnia Socìetas, porta in scena uno spettacolo, tutto al femminile, ispirato alla «Morte di Empedocle» del poeta Friedrich Hölderlin
Il teatro fuori dal teatro. Ennesima provocazione di Romeo Castellucci che, per lo spettacolo con cui debutta il 30 giugno al Festival di Spoleto, Giudizio. Possibilità. Essere, esercizi di ginnastica su La morte di Empedocle , tragedia incompiuta di Friedrich Hölderlin, sceglie una palestra. «Una palestra che si trova fuori Spoleto – spiega il regista, che sollevò aspre polemiche nel 2011 e fu giudicato blasfemo con il suo dramma Sul concetto di volto nel figlio di Dio, dove un uomo lanciava escrementi sul dipinto di Antonello da Messina che rappresenta il volto di Cristo – Un vero ginnasio – continua -, luogo in cui i giovani nell’antica Grecia si preparavano alle gare atletiche, arredato con gli strumenti dell’allenamento, pervaso dalla puzza degli spogliatoi. Per questa messinscena ho bisogno di gesti astratti, nella palestra si fa esercizio di teatro, sorgente di vita. Il pubblico, pochi spettatori alla volta, assisterà, accomodandosi per terra, sui cuscini del salto in alto o della ginnastica artistica». Nella palestra si allena una comunità femminile: tutte donne le attrici dirette da Castellucci, (Silvia Costa, Laura Dondoli, Irene Petris, Alice Torriani) una scelta di moda: è infatti in scena al Teatro Greco di Siracusa l’Eracle di Emma Dante per sole donne.«Non faccio questione di genere: i miei spettacoli sono tutti al maschile o al femminile. Stavolta ho bisogno di attrici che interpretano tutti i ruoli, figure botticelliane che si muovono con grazia. E tra loro, colei che indossa una corona di alloro, impersona l’eretico Empedocle e la sua paradossale vicenda: secondo la leggenda, il filosofo agrigentino si suicida gettandosi nel cratere dell’Etna. Gli altri personaggi tentano di ricondurlo alla ragione, ma il gesto estremo del filosofo non è per morire, non è dettato dalla rinuncia alla vita, bensì dal desiderio di abbracciarla, dalla volontà di fondersi con la natura, sciogliendo il suo corpo nella lava del vulcano: sul ciglio del cratere rimarranno solo i suoi sandali, simbolo di una presenza-assenza». Un’immagine poetica: «Una poetica astrazione che si genera da una ferita profonda: la prima scena dello spettacolo, che si basa su un testo poetico, vede le attrici troncarsi la lingua, gesto crudo ma non grandguignolesco, che evoca un concetto astratto: la lingua dei poeti affascina perché nasce da una ferita interiore, in questo caso dallo stato psichico di Hölderlin che, provato da problemi mentali, si rinchiuse volontariamente in una torre a Tubinga, accudito da un falegname che lo curò fino alla fine».La bocca priva di lingua è anche la bocca del vulcano: «Esattamente. Un documento sonoro, realizzato dalla Nasa grazie all’elaborazione tecnologica di impulsi luminosi, è il rumore del vulcano: il potente boato del più grande buco nero della Via Lattea, il suo nome è Perseus e dista 250 milioni di anni luce. Vorrei suscitare nel pubblico l’emozione di tornare nel ventre della terra, il ventre materno». Perché raccontare questa storia? «Hölderlin, in quanto poeta, era un perturbatore della quiete sociale. Il suo Empedocle sfida i cittadini di Agrigento, fa paura e per questo si lancia nel caos. Compito dell’artista è creare scompiglio nella comunità sociale e parlare in un’altra lingua. Il teatro nasce dalla religione, struttura del pensiero umano che ci distingue dagli animali. Ma il teatro è puro caos, e in ciò consiste la sua fragilità che lo rende potente».
Emilia Costantini, corriere.it