Tinto Brass: “Su censura cinema cambierà poco”

Tinto Brass: “Su censura cinema cambierà poco”

“Fino a quando ci sarà una commissione che decide per la classificazione delle opere e stabilisce divieti per la visione del film, anche se soltanto in base al criterio di età, nella sostanza cambierà poco, perché non verrà superato quel sistema di controlli e interventi, da parte del potere, sulla libertà degli artisti, che è sempre stata e continua a essere per me la cosa più importante”. A dirlo all’Adnkronos è Tinto Brass, il regista da poco 88enne, che ha lottato tutta la vita contro la censura, fra sentenze e aule di giustizia. Di 30 film che il maestro dell’eros ha girato 29 sono infatti finiti tra le forbici dei censori.

“Certo – sottolinea – è da riconoscere come passo avanti in questa direzione il fatto che non si potrà più vietare che un film esca nelle sale, e che non si potranno imporre tagli o modifiche. Ma non scordiamoci di come funziona il Mibact: in base a quali reali criteri – criteri artistici?- sono destinati i fondi pubblici per la realizzazione dei film di interesse culturale? Credo non dovrebbero mai esistere commissioni di ‘esperti’, siano essi critici cinematografici, pedagogisti, sociologi, e ora pure ambientalisti animalisti e altro ancora, perché già l’idea che un’opera debba passare sotto un giudizio di una commissione rappresenta ancora una censura. Paradossalmente ancora più pericolosa perché più subdola”.

Criticato, censurato e spesso ritenuto ‘scandaloso’, Tinto Brass sa cosa significa finire nel mirino della censura. “Conosco bene il meccanismo secondo cui l’autorevolezza di questi ‘giudici’ dovrebbe garantire quell’odioso politicamente corretto – spiega – ho fatto 30 film di cui 29 sono stati censurati. E a eccezione di ‘Senso 45’ non ho mai ricevuto alcun finanziamento pubblico”. Per il regista, la censura “è sempre una questione politica”. A volte, osserva, “i progressisti si rivelano più reazionari dei conservatori, le sinistre più bacchettone e cagasotto delle destre più paludate”.

Nei suoi confronti, fa notare, “è indubbio che ci sia stato un accanimento, per l’ostinazione con cui, contro ogni influenza esterna o condizionamento, mi sono mantenuto fedele a due costanti della mia ricerca espressiva: l’esperimento visivo e l’immersione nelle gioie dell’eros. In un certo senso la mia conclamata culofilia più che spia di una pulsione erotica è la cartina di tornasole della mia concezione estetica: ‘il culo è lo specchio dell’anima’. Una mia massima che serve a riconoscere allo stampo del culo le stesse valenze di quel Paese utopico che speravo emergesse ma che poi non è mai emerso. E che non credo certamente possa emergere adesso né con questo governo né attraverso un qualche decreto fintamente progressista di Franceschini”.

Secondo Brass il politicamente corretto continuerà comunque a dettare legge, anche al cinema: “Non credo si uscirà da questa logica” ammette il regista, che ricorda ancora il primo taglio subito. Era il 1963 e il suo ‘In capo al mondo’ non venne apprezzato dai censori dell’epoca che gli imposero di rigirarlo daccapo. Brass cambiò solo il nome con ‘Chi lavora è perduto’, rimarcando ancora di più il messaggio politico. “Lo rifarei, senza alcun dubbio – confessa -. La commissione di revisione cinematografica apportò tagli di circa 40 metri di pellicola con la motivazione che il film, oltre a essere offensivo al buon costume, appariva distruttivo verso tutti i valori morali e spirituali, antisociale e scurrile nel linguaggio. Io cambiai solo il titolo in ‘Chi lavora è perduto’, perché mi sembrava ancora più libertario e anarchico del precedente ‘In capo al mondo’. Entrambi esprimevano la mia inquietudine giovanile, la mia insofferenza verso una quotidianità banale e la mia joie de vivre”.

Tra i suoi peggiori nemici in Italia c’è stato anche il Vaticano: “È accaduto che all’uscita di alcuni miei film sia stata chiesta dalle associazioni più integraliste cattoliche la scomunica nei miei confronti” racconta Brass, che in tutti questi anni e nonostante le critiche non ha mai perso il suo spirito anarchico e provocatorio. “Mi sento tuttora, ancora, estremamente spinto alla ricerca della libertà – sottolinea -. Sono felice, perché felicemente innamorato e senza rimpianti. Vivo insieme a Caterina nella mia mia casa, piena di ricordi immagini voci, ancora cinema”.

Federica Mochi, Adnkronos

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