FEDERICO PESSA: “I MIEI TITOLI DI TESTA? BELLI COME QUELLI DI THE CROWN E STRANGERS THINGS”

FEDERICO PESSA: “I MIEI TITOLI DI TESTA? BELLI COME QUELLI DI THE CROWN E STRANGERS THINGS”

La sigla creata dal giovane regista e motion designer veneto concorrerà al South by Southwest Film Festival di Austin insieme a quella di due dei titoli di punta Netflix

Federico PessaQuando ha letto il nome del suo titolo di testa, Voyages des Cleauvard, posto accanto a quelli di colossi come Stranger Things e The Crown, Federico Pessa non poteva crederci. Eppure, la sigla creata dal giovane regista e motion designer veneto concorrerà al South by Southwest Film Festival di Austin (SXSW), in Texas, proprio insieme ai due titoli di punta di Netflix. «È stata un’emozione indescrivibile» racconta il giovane, 33 anni, che vive e lavora a Portogruaro, in provincia di Venezia, presso l’One-Eyed Jack Film Company (OEJ). E che a breve partirà per l’America, per andare a vedere con i propri occhi se la piccola cittadina di provincia avrà la meglio sulla grande metropoli. Se, insomma, l’umano Davide sconfiggerà di nuovo il gigante – o, in questo caso, i giganti, visto che i nominati sono in totale 27 – Golia.
Com’è iniziata?
«Come un gioco. Una volta realizzata Voyages des Cleauvard, che è ambientato in Francia, a Parigi, alla fine del XIX secolo, ho pensato d’iscriverlo a questo festival per metterlo alla prova. Anche se il soggetto da cui è tratto non è diventato ancora né un film né una serie tv».
E le piacerebbe?
«Sì, molto. Pensavo, infatti, di cogliere l’occasione americana anche per presentare l’idea e cercare un produttore».
Della sigla lei è sia regista sia motion designer.
«Sì, regia l’ho studiata all’università di Trieste, mentre il motion design l’ho imparato soprattutto da autodidatta, leggendo e documentandomi molto».
Qual è stata la sua prima esperienza in questo senso?
«Proprio un opening title, di un cortometraggio non ancora concluso, di cui ho curato anche la regia».
Cosa le piace degli opening title?
«Che oltre a essere un lavoro di design, è prima di tutto un lavoro semiotico. Imprime il significato del film e crea un forte legame per cui – citando Karin Fong (importante regista e motion designer, ndr), che spero di incontrare ad Austin – diventa «un ponte tra la vita di tutti i giorni e il mondo della storia». E poi anche Hitchcock ha iniziato la sua carriera inviando dei titoli di testa per un film muto a una neonata casa di produzione londinese».
Ha citato Hitchcock. Si considera, quindi, più un regista?
«Sì, sempre e in primo luogo un regista».
Quando ha capito che voleva fare quello nella vita?
«Durante il Capodanno del 1994, quando avevo 10 anni. Mi ricordo che ero solo, di fronte al televisore di mia nonna, e guardavo L’impero colpisce ancora. Non ne capivo bene la trama, anche perché avevo perso l’inizio, ma mi dava una strana sensazione».
Che tipo di sensazione?
«Come un’euforia per la scoperta di un’atmosfera underground, forse dovuta all’ambientazione mistica del pianeta di Yoda. Oggi non lo definirei un mio film di riferimento, ma devo dire che è stato proprio quello a ispirarmi».
E quali sono i suoi film di riferimento?
«Sono molto appassionato di vecchi film, non ho un genere prediletto. Mi piacciono Le notti di Cabiria, Il fascino discreto della borghesia, C’era una volta in America, Dead Man. Ma la mia passione, più che dai film in sé, nasce dal legame che i film hanno con la vita reale e da come ci accompagnano nella nostra crescita».
Per la sua crescita professionale che vorrebbe?
«Approfondire quanto fatto finora. Con OEJ Film Company ci stiamo strutturando proprio per aprire una divisione prettamente legata agli opening title. Questa selezione è stata una sorpresa e allo stesso tempo la scintilla che ci ha fatto realizzare che i tempi sono maturi per presentarci al mercato internazionale delle case di produzione cinematografiche».
Vorrebbe, quindi, lavorare all’estero?
«Nel mio lavoro non ha molta importanza il luogo. In generale, voglio cogliere le opportunità e le occasioni che si presenteranno e che mi permetteranno di sviluppare le mie idee e continuare la mia formazione. Viaggiare comunque mi piace molto».

Andrea Cominetti, La Stampa

Torna in alto