(di Tiziano Rapanà) Abbandoniamo i monologhi, diamoci al soliloquio senza costruire un’epistola del sé per sé. Soliloquio inteso come rottura dell’incontro tra artista e pubblico. Racconto, dunque, di patemi e paturnie e tribolazioni. Disperazioni private che non debbano diventare momenti piacioni, intrattenimento da commozione (una lacrimuccia un tanto al minuto e così via). Cerchiamo di ravvivare il significante, scuotiamolo questo benedetto linguaggio. Sanremo abbandonati al teatro. Se non con parole nuove (che poi è tutto un girellare il dito verso il noto, il già detto) almeno riproviamoci con quello che è stato di glorioso. Brechtomania ossia Brecht rivisto sotto la lente del varietà da quel geniaccio di Leopoldo Mastelloni, in uno spettacolo teatrale prodotto da Ciro Ippolito. Questo incontro tra i due grandi, Brecht e Mastelloni, c’è stato. Ora potrebbe esserci di nuovo tra un momento canzonettaro e l’altro. Tra una battuta e un’attesa, cinque minuti di teatro e riflessione. Cinque minuti di Mastelloni che canta e recita e racconta il drammaturgo tedesco. Mi pare che Sanremo ci possa solo guadagnare da queste pillole di alterità rispetto agli ingranaggi della macchina televisiva. Si prova a estraniarlo questo pubblico così carico di aspettative e al tempo stesso arrendevole rispetto al tempio dell’odierna architettura del passatempo mediatico.