Ora, finalmente, è chiaro a tutti perché Maria De Filippi stia lavorando gratis per le cinque serate del Festival.
Non è un gesto di bontà istintiva, o un tentativo di evitare risse sul compenso, ma uno straordinario atto di consapevolezza professionale. De Filippi, in altre parole, sapeva meglio e prima di chiunque altro che il suo contributo all’Ariston sarebbe stato fragile, a parte il merito di convogliare milioni di telefans. E così, infatti, è successo: niente, di questo primo appuntamento con l’evento Rai più osannato, resterà nella memoria pubblica per brillantezza e originalità, a parte il duetto in zona ospiti tra la sicilianità dolente di Carmen Consoli e l’eleganza matura di Tiziano Ferro.
Per il resto, mentre la controfigura sciapa di madame “C’è posta per te” vagava per il palcoscenico, il suo sodale Conti cedeva all’evidenza di aver finito al terzo anno idee, benzina, e in apparenza pure allegria.
Dispiace quasi scriverlo ma Sanremo 2017 è, al di là dello share fotonico (50,37%, pari a 11.374.000 spettatori), un festival alla deriva, partendo dalla spompaggine del volenteroso Al Bano, fresco di tour ospedaliero, per arrivare al trombonismo della compagna Mannoia, che nel cuore della sua carriera ha pensato fosse cosa buona e giusta punirsi cantando la retorica dell’esistenza umana (“Che sia” appunto “benedetta”, invocava il titolo del pezzo).
Emozione, poca; intensità, poca; capacità di uscire dall’ovvio del linguaggio, molto poca.
Per non infierire, causa bontà improvvisa, sugli altri presunti big, dotati di micropezzi splendidi da cestinare: sia che il microfono fosse impugnato da Lodovica Comello (che al suo amore, senza vergogna alcuna, ha cinguettato: «Mi prenderò solo un po’ di te/un istante di complicità/un deserto di felicità/che passerà e lascerà la polvere»), sia che protagonista fosse la giacca di Alessio Bernabei, sia che invece il ciuffo sotto i riflettori fosse quello di Ron, impantanato nella più manierista delle love songs possibili (“L’ottava meraviglia”).
Tale è stato lo sconforto, a un certo punto del video-tragitto, che si cercava ovunque appiglio pur di sfuggire alla modestia: inutilmente.
Rinchiuso nella capsula della sua paura del Festival – e dunque in collegamento da un nascondiglio lontano – Maurizio Crozza ha balbettato qualcosa di così e così sull’ex premier Renzi e la sindaca Raggi.
Quanto agli spazi dedicati al dolore e ad alti temi sociali – cioè la parata iniziale dei soccorritori montani, e poi l’impegno sacrosanto contro il bullismo fisico e virtuale -, il sapore è stato quello dell’atto dovuto, della celebrazione che per consuetudine si manifesta all’Ariston, e anche a dirla tutta del disagio indotto da Diletta Leotta (nel triplo ruolo di vittima di web-furto, canterina giuliva e giornalista pedatoria).
Il tutto mentre Maria Gratis De Filippi non dettava i passaggi dell’azione, ma subiva l’andamento dell’intera partita.
Che serata sconclusionata.
E che amarezza quando, in questo viaggio sbandante tra noia e pop, è stato l’ospite Ricky Martin a risollevare palpebre e umore.
Urge il giorno in cui, invece di galleggiare nel passato, si proverà il brivido di migliorare il presente.
L’ ESPRESSO