La popstar ospite mercoledì sul palco dell’Ariston. «Sono fiero di essere puntuale, nel 2011 arrivai in ritardo alle prove e il conduttore mi sgridò: ero furibondo»
Pizza e pasta. E Gianni Morandi. I bei ricordi da turista. E quelli meno belli. Per Robbie Williams questo è il Festival di Sanremo. Ci tornerà come ospite mercoledì sera per lanciare il tour che lo porterà il 14 luglio allo stadio di Verona e il 17 a Collisioni, il festival agrirock di Barolo.
Fra Take That e carriera solista è la sua quinta volta a Sanremo. Cosa ricorda?
«Ho capito che è una cosa molto italiana, in Inghilterra non abbiamo una manifestazione musicale che dura una settimana, e porterò una torta per festeggiare. La prima volta sono venuto con i Take That nel 1994. Mi ricordo pizza e pasta buonissime e i gruppi di ragazze che urlavano quando passavamo dai cancelli. E di un’altra volta un tipo che mi ha rotto un po’ le scatole».
Capitò durante le prove del 2011. Lei se andò dopo che il presentatore Gianni Morandi le fece notare un ritardo. Forse voleva essere ironico e ci furono incomprensioni per la lingua?
«Non fu ironico, fu maleducato. Sono orgoglioso di essere puntuale: nessuno dei miei concerti è mai iniziato in ritardo. Ricordo che quel pomeriggio ero in hotel in attesa, hanno bussato alla porta, sono sceso e salito sul van e da lì diretto sul palco… E all’improvviso mi vedo uno che, in una stanza piena di gente e davanti all’orchestra, mi sgrida, mi accusa di essere in ritardo e di essere poco professionale. Capirete la mia arrabbiatura».
Il conduttore è cambiato…
«L’ho visto. E i miei fan mi hanno mandato anche le foto della bellissima donna che sarà con lui».
Nella copertina del suo ultimo album «The Heavy Entertainment Show» c’è una foto di Robbie contro Robbie. Cosa rappresenta?
«Nulla in particolare, nulla di profondo. Ho rubato l’idea, non ricordo nemmeno dove. Mi piaceva l’immagine».
Il confronto torna nei testi. Da una lato c’è la gioia di vivere di «Love My Life»…
«Quel brano è per i miei figli. Spero che io e mia moglie Ayda riusciremo a dare loro tutto quello di cui hanno bisogno per avere una vita felice ed essere realizzati».
In brani come «Motherfucker» o «Bruce Lee» escono i dèmoni, il suo lato oscuro… Ha finalmente trovato equilibrio?
«In carriera ho spesso scritto canzoni autobiografiche raccontando quello che provo, ma a volte cerco anche di divertirmi assieme al pubblico. Prendete una frase come “venderebbe i figli pur di avere una hit in Belgio”. Ovviamente non lo farei mai».
Forte, bellissimo, libero, magnifico, magico. Così si definisce in «Love My Life». Riesce a scegliere uno solo?
«Mi sento libero, mi godo la vita».
Nella traccia che dà il nome al disco lei canta che «i migliori stanno morendo rapidamente». Bowie, Prince, Coen, George Michael… Chi le manca di più?
«Il 2016, proprio fino alla fine, è stato un anno tremendo quanto a leggende perse. Personalmente mi hanno colpito non solo le persone famose, ma anche le perdite personali. Un altra canzone, “David’s Song” (scritta per la morte del manager David Enthoven ndr), riassume bene i miei sentimenti».
Tornerà mai con i Take That?
«Coi ragazzi dei Take That siamo ancora amici e non è un mistero che parliamo spesso di fare cose assieme. Al momento non siamo ancora riusciti a incrociare gli impegni. Abbiamo agende molto occupate e non sarà facile».
In una delle ultime foto postate da sua moglie su Instagram aveva il labbro rotto dopo una lite col computer. Riuscirà a cantare?
«Ho perso quella battaglia, ma ho salvato i denti».
Sui social lei e sua moglie, giocate molto con l’autoironia. Vi diverte?
«È l’unico modo per far sì che i social restino quello che devono essere e non si trasformino in una vita parallela».
di Andrea Laffranchi, il Corriere della Sera