Nicole Kidman, mamma a casa e sul set: “Io, tossica in cerca di redenzione per salvare mia figlia”

Nicole Kidman, mamma a casa e sul set: “Io, tossica in cerca di redenzione per salvare mia figlia”
Il film, ambientato negli Stati Uniti, è tratto dal libro di memorie di Garrad Conley pubblicato nel 2016, quando ancora pochissimi Stati avevano bandito la terapia di ‘cura’ per omosessuali. Gruppi di medicina tradizionale hanno nel frattempo bocciato la presunzione che gli individui Lgbtq necessitino o possano cambiare il proprio orientamento sessuale. “Difficile credere che solo oggi, nel 2018, siamo arrivati a questa conclusione”, commenta l’attrice. “Pretendere di convertire i gay: un’idea medievale! C’è gente che mette davanti la fede alla famiglia”. Ma è anche un’altra mamma, completamente opposta a quella di Boy Erased, in Destroyer, un thriller diretto da Karyn Kusama (Girlfight) in cui è una poliziotta alcolizzata e tossicodipendente che deve redimersi agli occhi della figlia il cui padre è stato ucciso, spinto proprio dalla madre, a macchiarsi di un crimine.

Bellissima, in perfetta forma fisica e mentale, Kidman si sta davvero godendo una piena maturità artistica, non solo professionale ma anche personale. È attualmente impegnata nella seconda stagione della popolare e premiata serie tv Big Little Lies (aveva girato, lo scorso anno, la miniserie di Jane Campion Top of the Lake), mentre al cinema è stata di recente vista in The Beguiled e The Killing of a Sacred Deer. Ha da poco finito di girare il film-fumetto Aquaman (è la Regina Atlanta), il dramma The Goldfinch e sta ora lavorando a un lungometraggio, ancora senza titolo, sul mogul della CBS Roger Ailes, morto dopo essere stato travolto da uno scandalo sessuale. Maternità o meno, Kidman è una donna che non si ferma un attimo. L’abbiamo incontrata al Four Seasons Hotel di Beverly Hills per parlare di tutti i suoi progetti.

Nicole, come e cosa l’ha avvicinata al suo ruolo in Boy Erased?
“Conoscevo il libro, la storia, la problematica. Perfino Trump ne ha parlato di recente… ovviamente lui è ancora convinto che l’omosessualità si possa curare. Joel Edgerton è un mio caro amico e mi ha offerto la parte. Gli ho detto che avrei anche fatto la comparsa in un film così, perché è una storia che deve essere raccontata, è uno di quei film con un messaggio, che fa riflettere e spero parlare”.

Tristemente ci sono tanti giovani ancora sottoposti a questo tipo di ‘terapie’, supportate dalla propria parrocchia. Uno pensa che una madre stia sempre dalla parte del figlio, giusto?
“Certo, ma nel film non c’è il cattivo vero e proprio, niente è bianco o nero. Sarebbe troppo facile e didascalico altrimenti. Martha, la vera madre a cui il mio personaggio di Nancy è ispirata, credeva stesse facendo la cosa giusta per il figlio, non capiva. Ora capisce, ma allora no, e non era per cattiveria, ma per ignoranza e fede cieca. Non aveva i mezzi educativi per capire cosa significa essere gay o di altri orientamenti. Martha mi ha detto che per il resto della vita chiederà scusa al figlio. È una donna cambiata, illuminata. Un tragitto esistenziale e culturale incredibile per lei”.

E Destroyer? Nel film lei è imbruttita, quasi irriconoscibile, rovinata dall’alcool e dalle droghe. Come mai ha voluto fare questo personaggio?
“Devo dire che quando Karyn Kusama stava cercando un’attrice per quel ruolo non mi aveva presa in considerazione. Quando la prescelta si è rifiutata sono stata io a chiedere di farlo, perché non avevo mai interpetato un ruolo simile, volevo sfidarmi. Non ero nemmeno sicura di esserne in grado ma le ho detto che ci avrei provato con tutte le mie forze. Quindi è stata lei a prendersi un rischio ingaggiandomi. Ma avere la possibilità di recitare ruoli come questi, in questa fase della mia vita, è incredibile, e molto probabilmente non succederà mai più. Quindi sono assai grata”.

Lei ha detto che Destroyer è uno di quei film in cui se il protagonista fosse stato un uomo sarebbe stato prodotto con molta più facilità.
“E con più soldi!”.

Come mai?
“Perché penso che la gente abbia problemi nell’accettare una donna come lo è la protagonista. Tanta della sua motivazione deriva dall’essere madre. Nel momento in cui scopre di essere incinta si stava facendo di cocaina! Un uomo non sarebbe mai nella stessa condizione. Fa il test di gravidanza e sa di essere completamente fatta, ed è un modo devastante di cominciare la gravidanza; e quello è solo l’inizio del suo rapporto con la figlia e se ne vergogna immensamente. Ebbene, questo è un atteggiamento molto femminile. La vedo come una donna che sta cercando di dire alla figlia: non fare quello che ho fatto io, non fare gli stessi errori, vivi una vita diversa. E letteralmente sacrifica la propria vita per togliere la figlia dalla china pericolosa che la ragazza sembrava aver preso”.

Presto la vedremo in un ruolo molto diverso, quello di una supereroina nel film Aquaman.
“Un piccolo ruolo, in cui mi sono immensamente divertita. Ne avevo bisogno, dopo questi film così pesanti! Ho portato le mie figlie in Australia, è venuta mia sorella con i suoi figli, è venuta mia madre, e stavamo tutti insieme nella stessa casa, come una vera famiglia. Venivano sul set, guardavano gli effetti speciali e in un certo senso ero molto fiera! Tutto quello che Destroyer non era, quando cercavamo di arrabbattarci nella costante scarsezza di fondi, Aquaman era: un budget immenso, location, uno studio alle spalle… divertente, come dicevo”.

Lei sembra avere una vita splendida sotto tutti i punti di vista. Le manca qualcosa?
“Sono diventata madre naturale in età avanzata, dopo i 40 anni, e forse sono ipersensibile circa il tempo che passa e nel valutare quanto il tempo sia prezioso: penso ai miei figli, ancora così giovani, gli ultimi due, e non vorrei perdermi nulla della loro crescita. Ho 51 anni, due figlie di 10 e 7 anni, che hanno ancora tanto bisogno della madre e del padre. E questo forse genera in me molta ansia, perché ci sono tante cose di cui sono incredibilmente fiera, ma la cosa più grande è avere due bambine piccole per le quali devo essere sana e forte e protettiva. Non c’è giorno che non trasalisca dicendo: ‘Grazie a Dio per la mia salute!’. Non tanto per me stessa, quanto per potermi prendere cura di loro”.

Può dirci qualcosa della seconda stagione di Big Little Lies?

“Spero sia bella come la prima perché le pressioni sono fortissime e questo è il guaio del successo immediato nella tv seriale. Posso solo dire che Meryl Streep ha accettato di farne parte senza nemmeno aver letto il copione e questo già dice tanto sulla qualità del programma. Un gesto straordinario di supporto e di fiducia nei confronti delle donne in questa industria. Sul set eravamo in gramaglie e ci dicevamo: ‘Oh, Signore, dobbiamo dare a Meryl un ruolo alla sua altezza!’. Ma ricordo, in proposito, il grande Stanley Kubrick quando mi disse: ‘Non mettere nessuno sul piedistallo perché se no non potrete creare insieme niente di buono’. Il piedistallo crea reverenza e la reverenza non crea arte, è contro la creatività. A Meryl non piace affatto essere messa sul piedistallo, lei viene sul set preparata, lavora, è un atttrice, fa il mestiere, non si dà arie, è sempre puntuale, rispetta tutti, pronta a partire e dice: ‘Partiamo’. L’adoro e ci ha aiutate tantissimo in questa seconda stagione per dare un’ulteriore sprint alla narrazione. Certo: ‘Non mettere Meryl sul piedistallo’ è facile a dirsi, mica tanto a farsi”.

Crede che a lei non la metta nessuno sul piedistallo?
“Non che io sappia, lo giuro!”.

Silvia Bizio, Repubblica

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