Un film documentario in cui ci sono tre protagonisti: Gigi Riva, il gioco del pallone, la Sardegna. Riccardo Milani firma una pellicola con amore, rispetto e stima verso uno dei più grandi calciatori italiani. “Una lezione di vita, dice il regista romano, che mi porto dentro fin da ragazzino”
Un uomo, un mito del calcio italiano degli anni ’60 e ’70. Non era facile raccontare Gigi Riva, la sua storia, la sua etica, il suo immenso talento.
Ci è riuscito il regista Riccardo Milani. Il risultato è un affresco anche di un’epoca e di un’Italia che non c’è più, raccontata attraverso le emozioni di chi è rimasto fedele ad un’unica squadra, rimanendo così sempre fedele a sè stesso.
Il film Nel nostro cielo un rombo di tuono arriva al cinema dal 7 novembre, partendo proprio dalla sua Sardegna. Ecco che cosa ci ha raccontato il regista romano
Parliamo di un mito del calcio: di Gigi Riva. Conosciamo tutti le sue imprese sportive, ma nel tuo documentario ci fai conoscere l’uomo.
Ci sono voluti vent’anni per convincere Gigi a fare questo lavoro. L’idea mi è venuta in mente nel momento esatto in cui l’ho conosciuto ma la sua ritrosia fa parte anche del suo carattere e del suo “personaggio”, ossia quello che rifiuta le offerte. Io sono cresciuto da piccolo con Gigi Riva, che non è stato solo un campione di calcio ma è un campione di umiltà, di coraggio, di coerenza, di onestà. Tutti valori che nel tempo mi sono portato dietro. Il fatto ad esempio che io ora possa frequentare la sua casa mi rende molto felice; quando una persona come lui arriva a dirti “questa è casa tua, vieni quando vuoi”, vuol dire che si è raggiunto un livello di fiducia importante. Certo, entro sempre a casa sua in punta di piedi e con profondo rispetto. Mi piace però pensare che abbia visto in me un affetto sincero.
Da dove deriva il soprannome “Rombo di tuono”?
Fu il grande giornalista Gianni Brera a darglielo. Una volta, vedendolo giocare, sentì una specie di rombo di tuono che in realtà era una pallonata di Gigi, un tiro che andò in porta durante una partita. Quel goal provocò in Brera una reazione tale che il giornalista cercò nel cielo nuvoloso un lampo o un tuono ma si rese subito conto che era stata la potenza del tiro in porta.
C’è più di un protagonista nel tuo film: c’è Gigi Riva, c’è il gioco del calcio e naturalmente la Sardegna. Non si può raccontare la storia di Riva senza parlare del suo rapporto con questa terra.
Certo, è un rapporto di profondo amore. Io sono andato in Sardegna la prima volta nel 1975 e da lì in poi ho iniziato a frequentarla un po’. I sardi sono persone generose che sanno capire quando ti approcci in punta di piedi e con rispetto. Hanno un grande senso dell’ospitalità e del rispetto della parola data: tutti questi sono valori in cui Gigi si è perfettamente riconosciuto e credo che fosse un po’ sardo anche prima di arrivare in Sardegna. Credo che la storia della Sardegna sia cambiata proprio grazie a quello scudetto vinto dal Cagliari quando Gigi giocava, una squadra tra l’altro composta da uomini non sardi, da giocatori che venivano da altre regioni d’Italia ma che insieme sono riusciti a diventare una squadra simbolo, giocando una stagione irripetibile che è stata quella del 1969-1970.
Possiamo dire che è stato anche un giocatore dei “no”. Ha rifiutato molte offerte e questo in qualche modo lo rende un giocatore quasi “fuori dal tempo”.
È un giocatore che ha pagato il prezzo delle sue scelte e dei suo no. Però ne ha accettato le conseguenze e io credo che oggi questo tipo di coraggio ci manchi.
Che uomo è oggi Gigi Riva?
Gigi rimane “rombo di tuono” anche se non ha mai avuto il desiderio di fare chissà cosa ma anzi è sempre stato un uomo sottomisura e molto umile. Ed è un po’ la sua “lezione di vita” anche adesso: vive in un appartamento normale con la sua famiglia e i suoi due figli, ha pochi amici attorno e ha anche attraversato momenti complicati (come quando è stato team manager della Nazionale) ma ha anche aperto una Scuola Calcio a Cagliari. Insomma ha fatto molte cose importanti e ogni volta le ha fatte con grande misura e quella lezioni lì, a mio avviso, rimane tutta.
SINOSSI
In questo progetto non ci sono attori che lo rappresentano, non ci sono voci narranti che raccontano la sua storia. Ci sono lui, le sue storie, le sue verità, i suoi ex compagni di squadra del Cagliari dello scudetto – l’anno in cui il Cagliari è stato più forte di ogni altra squadra – la gente di Sardegna che ha ripagato per sempre il suo affetto e la sua coerenza.