Il Consiglio di stato approva l’obbligo di trasmissione di produzioni tricolori in prima serata
Ma vanno rafforzate le norme per l’occupazione nel settore
Il Consiglio di stato dà con tre pareri favorevoli il suo ok formale alla riforma del cinema e dell’audiovisivo, targata Dario Franceschini. Ricevono così l’imprimatur dell’organo al vertice della giustizia amministrativa (sezione atti normativi) anche quelle decisioni volute dal ministro delle attività culturali tanto contestate dalle principali emittenti tv (Rai, Mediaset, La7, Sky, Discovery, Viacom, Fox, Walt Disney e De Agostini) che prevedono l’obbligo di rispettare quote minime di trasmissione per produzioni italiane ed europee, soprattutto durante la fascia del prime time (o prima serata).
Tanto più che i big del piccolo schermo italiano avevano lanciato l’allarme per gli impatti economici della riforma, ossia per gli obblighi paralleli d’investimento in opere originali nazionali ed europee (legge n. 220 del 14/11/2016). Le previsioni sull’impatto delle nuove spese in contenuti superano i 500 milioni di euro, spingendo gli investimenti complessivi a quota 1,2-1,3 miliardi nel 2019. Impatto economico cui segue, sempre secondo le emittenti tv, un problema occupazionale nel settore che impiega 26 mila addetti e altri 65 mila nell’indotto.
Invece i giudici di Palazzo Spada approvano e sottolineano con un parere ad hoc che l’onere di programmazione è giustificato proprio dalla necessità di promuovere e sostenere le case di produzione tricolore (o del Vecchio continente, in chiave comunitaria). Tanto più se si considerano «le ricorrenti pratiche elusive» già osservate sul mercato. Anzi, siccome di comunicazione si sta parlando, il Consiglio di Stato suggerisce l’adozione di sanzioni non solo pecuniarie ma anche di tipo «reputazionale» ossia attuate pubblicizzando il caso di violazione della legge e il nominativo del responsabile. Sempre in un’ottica di rendere più efficaci le sanzioni e la loro funzione di deterrenza, è arrivato il via libera anche all’innalzamento delle multe da pagare, in caso di violazione della normativa, e la loro determinazione in base al fatturato dell’emittente responsabile.
I giudici, infine, respingono la critica mossa contro la riforma del governo Gentiloni di voler regolamentare con una norma esigenze che sono invece del mercato: non si tratta infatti di «vincoli di tipo dirigista» ma l’intenzione di ottenere un più corretto funzionamento del comparto, eliminando commistioni e distorsioni tra i vari attori della filiera produttiva. Il tutto, sempre secondo i giudici, attraverso una netta separazione tra chi realizza il prodotto audiovisivo e chi gestisce l’emittente che lo trasmette.
Con un secondo e differente parere, poi, i giudici di Palazzo Spada approvano il nuovo sistema di censura che deve decidere quali titoli siano eventualmente da vietare ai minori di 14 e 18 anni. Singolare però che, nell’elogiare l’intenzione di aggiornare l’intero meccanismo di tutela, gli stessi giudici abbiano espresso perplessità sull’uso del termine «divieto», proprio oggigiorno che i divieti cercano di essere maggiormente «flessibili» e «parzialmente derogabili», per esempio potendo essere aggirati in presenza di un familiare adulto (da cui scaturisce, peraltro, una maggior responsabilizzazione delle famiglie). Di sicuro, la sezione atti normativi del Consiglio di Stato apprezza la creazione di una nuova commissione di verifica ma, anche in questo caso, trova singolare che la stessa commissione mostri al suo interno una composizione più netta di associazioni per la protezione degli animali, piuttosto che quella di altre associazioni. Sempre col fine di tutelare i minori, viene introdotta la fascia di produzioni «non adatte ai minori di anni 6», oltre che il suggerimento di sanzioni di tipo reputazionale.
Il terzo parere favorevole si concentra invece sulle disposizioni (soprattutto deroghe al limite di contratti a tempo determinato e di apprendistato) per introdurre il sistema del jobs act nel settore tv e audiovisivo, armonizzandolo con le regole in vigore. L’osservazione, però, è che è ancora «in gran parte non attuata» la delega sui rapporti di lavoro nel settore cinematografico e audiovisivo, per semplificare, razionalizzare e rafforzare «le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro».
Marco A. Capisani, ItaliaOggi