Anche Jasmine Trinca fatica a credere al divieto ai minori di 18 anni. Proprio il pubblico a cui La scuola cattolica, il film di Stefano Mordini tratto dall’omonimo romanzo di Edoardo Albinati, premio Strega 2016, vuole rivolgersi. «Credo sia importantissimo rendere visibile nel senso pieno della parola, questo film e questa vicenda per un pubblico di ragazzi che in quella storia, di cui non hanno esperienza diretta, possono ritrovare le radici e la drammatica evidenza di tanta attualità. Non solo possono rispecchiarsi, ma farla propria, empatizzando e rifiutandone l’orrore. Privare loro per primi di questa occasione sarebbe gravissimo».
Lei è Coralla Martiroli, la madre di Pik, uno degli studenti più giovani. Chi è?
«Sono una madre borghese vittima e dea della sua vanità, attrice che vive nel mausoleo della sua bellezza. Che predica educazione che è mala educazione, sorretta da una doppia morale continua. È l’incarnazione dell’ipocrisia di queste famiglie dove la povertà è lo spauracchio, la virilità è ostentata e l’unico femminile accettato è il materno. Con il sottotesto che la donna è peccatrice».
Anche lei non ha esperienza diretta del massacro del Circeo, è nata sei anni dopo.
«Per me è uno spartiacque. Solo dopo quell’orrore lo stupro nel nostro Paese passa da reato contro la morale a reato contro la persona. È l’altroieri. Quello che è arrivato a me come giovane donna, avendolo vissuto solo indirettamente, è la forza del movimento femminista nato da lì, la presa di parola. L’idea che un “no” sia un “no”, non ci sono sfumature. Eppure, ancora si mette in discussione la versione delle donne: chissà cosa aveva fatto, chissà come si era vestita, non doveva passare per il parco».
Cosa l’ha spinta a accettare?
«Quel che mi chiama nelle scelte, anche in un ruolo piccolo ma complesso come questo, è tentare attraverso il cinema, ovvero l’adattamento artistico, di tenere presente e viva la storia del nostro Paese. Che si continua a riverberare sul presente. Questa è una vicenda del 1975 ma suona viva, come i fatti di cronaca continuano a ricordarci».
L’anno scorso ha esordito alla regia alle regia con il corto, «Being My Mom» dedicato a sua madre. A che punto è il lungometraggio, «Marcel!», sempre con Alba Rohrwacher?
«Sono al montaggio, tutti i registi di valore che conosco adorano il montaggio, io meno, mi sembra di rimettere in discussione tante cose. È una storia così intima, un’esperienza che mi sorprende, sta prendendo vie sue. Il film cerca un tono a metà tra ridere e piangere, voglio portare lo sguardo su vicende intense senza mai prenderle sul serio pur prendendole sul serio».
Venezia, Cannes, Oscar, è il momento delle registe.
«Era ora, non dover essere più la “prima a fare…” libera dalla responsabilità».
A Natale esce «Supereroi». E poi arriverà il suo bis con Alessio Cremonini .
«Mi piace molto il film di Paolo Genovese, ci sono entrata dentro con grande entusiasmo. Felice di ritrovare Alessandro Borghi. Insieme a Alessio con Sulla mia pelle abbiamo realizzato una cosa importante. Ora facciamo Profeti, prodotto da Olivia Musini. Faticoso e impegnativo, parla di prigionia ma in altra forma».
Stefania Ulivi, corriere.it