Presentato alla Mostra del cinema di Venezia, il documentario (scritto e diretto da Francesco Zippel) è un emozionante viaggio nel mondo del grande regista italiano. Impreziosito dalle testimonianze di cineasti come Quentin Tarantino, Steven Spielberg e Martin Scorsese, l’opera arrivare nelle sale dal 20 ottobre
“Il cinema deve essere spettacolo, è questo che il pubblico vuole. E per me lo spettacolo più bello è quello del mito. Il cinema è mito.” Così parlò Sergio Leone, il padre del western all’italiana, il primo regista post-moderno, ma soprattutto l’uomo che inventò l’America, come recita il titolo del documentario firmato da Franceso Zippel e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia (LA DIRETTA). Un’opera che è soprattutto un atto d’ amore nei confronti di un autore a cui sono bastati sette film per entrare nell’empireo della settima arte. Un omaggio che sarebbe piaciuto allo stesso Leone.
Era davvero un bel cimento creare un contenuto originale e potente su un regista su cui si è scritto moltissimo, nonché, al centro di svariati documentari. Eppure, “Sergio Leone, l’italiano che inventò l’America” conquista Venezia ed è riuscito nell’impresa. Il merito è soprattutto delle tante, preziosissime testimonianze. A partire da quelle dei figli Andrea, Francesca e Raffaella, affiancate dalle interviste a registi, attori, professionisti del settore e critici cinematografici del calibro di Clint Eastwood, Martin Scorsese, Jennifer Connelly, Steven Spielberg, Quentin Tarantino, Frank Miller, Darren Aronofsky, Ennio Morricone, Damien Chazelle, Eli Wallach, Arnon Milchan, Jacques Audiard, Tsui Hark, Carlo Verdone, Dario Argento, Giuliano Montaldo , Gian Luca Farinelli, Sir Christopher Frayling, Noel Simsolo, Enzo Di Liberto, Fausto Ancillai. Un autentico Parterre de roi, una panoramica di voci e volti che guidano lo spettatore alla scoperta del mondo di uno dei più importanti e rivoluzionari autori del grande schermo.
Forse davvero Sergio Leone è l’ultimo grande regista del cinema muto. Un autore in grado di imprimere in ogni fotogramma la potenza primigenia della settima arte. Una sorta di Prometeo della macchina da presa capace di illuminare ogni scena con il fuoco sacro della passione. Cresciuto a pane e Hollywood, Leone ha mantenuto nel tempo l’entusiasmo contagioso del bambino nei confronti delle immagini ma al tempo stesso ha costellato i suoi film di abbondanti dosi di ironia. Un costruttore di mondi, un demiurgo geniale che ha saputo reinventare il genere western, senza ricorrere ad archetipi del genere come i nativi americani oppure la febbre dell’oro. Al netto del florilegio della schidionata di aneddoti che popolano l’opera (dal titolo provvisorio di “Per un pugno di dollari” alle lenti a contatto nere di Henry Fonda in “C’era una volta il West”) Sergio Leone, l’italiano che inventò l’America restituisce tutto il contagioso entusiasmo, tutta la travolgente energia di un genio colto e visionario. Una fonte di ispirazione per gli autori più diversi. E tra il suono lancinante di un’armonica e un telefono che squilla all’infinito, tra le musiche immortali di Ennio Morricone e il volto di Eli Walach, ancora una volta capiremo che “i sogni non si vendono” ma si ricordano grazie a capolavori come “Il Buono, il brutto e il cattivo”. E pure se “andiamo a letto presto” è meraviglioso risvegliarsi con la consapevolezza che esistono i film che non dimenticherai mai più. C’era una volta Sergio Leone e, grazie al suo cinema, ci sarà per sempre.