Burt Reynolds è morto a 82 anni in Florida. Lo scrivono diversi media americani. L’attore, tra gli altri famoso per film come Boogie Nights (per il quale era stato candidato all’Oscar), ha avuto un arresto cardiaco mentre si trovava nella sua abitazione ed è poi morto in ospedale. Con lui c’era la famiglia.
Duro ma ironico, nella sua lunga carriera l’attore è stato protagonista di film indimenticabili come Un tranquillo week-end di paura (Deliverance), di John Boorman. Woody Allen lo dirige in Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (Ma non avete mai osato chiedere). Nel 1974 veste i panni di un giocatore di football in Quella sporca ultima meta di Robert Aldrich.
Burton Leon Reynolds jr, questo il suo nome intero all’anagrafe, avrebbe dovuto davvero intraprendere la carriera sportiva: gioca a football. Dopo essersi diplomato, si iscrive alla Florida State University, ma abbandona il sogno di diventare giocatore professionista per un incidente d’auto.
Di origini irlandesi e cherokee da parte di padre, poliziotto (per un periodo aveva pensato di seguire le sue orme), Reynolds debutta in televisione, interpretando tra la fine degli anni 50 e 60 diverse serie, per divenire popolare con Hawk l’indiano. Partecipa allo spaghetti western Navajo jo di Sergio Corbucci che egli stesso definisce “il film più brutto a cui abbia mai preso parte”, al punto da consigliarne la proiezione “solo sugli aerei e nelle carceri”, dove gli spettatori non hanno via d’uscita e sarebbero costretti a guardarlo.
Peter Bogdanovich lo dirige in Vecchia America, Blake Edwards lo sceglie per I miei problemi con le donne. Il macho sperimenta nuovi ruoli, nel 1977 Burt Reynolds era la star più desiderata e più pagata di Hollywood, citato perfino da Bruce Springsteen nella canzone Cadillac Ranch. Per cinque anni, dal ’77 all’82, i suoi film sono stati in testa al box office americano, un record ancora ineguagliato. Tra i titoli di quel periodo, con Un gioco da duri, Collo d’acciaio, La corsa più pazza d’America c’è anche Pelle di sbirro, uno dei 14 film di cui Reynolds è anche regista, un buon poliziesco con Vittorio Gassmann nel cast. Malgrado film notevoli come Il più bel casino del Texas con Dolly Parton o Per piacere… non salvarmi più la vita con Clint Eastwood, verso la fine degli anni Ottanta la carriera di Reynolds fu tutta in discesa. “Anche per i miei errori, ho rifiutato troppi ruoli, ero troppo arrogante e troppo stupido”, ha riconosciuto.
Tra i tanti rifiuti c’è il provino per James Bond (“Ma un americano non potrà mai essere una spia inglese!”), il ruolo di Han Solo nella serie Star Wars, quello di Bruce Willis in Die Hard, Pretty Woman poi affidato a Richard Gere. Si era molto pentito di non aver partecipato a Qualcuno volò sul nido del cuculo e Voglia di tenerezza: “In entrambi c’è Jack Nicholson e sono contento, è il più grande della mia generazione, ma sono stato davvero un idiota”.
Una vera star, al punto da essersi guadagnato una citazione esilarante nel film Borotalco di Carlo Verdone, quando Eleonora Giorgi (Nadia) parla del suo divo preferito con Isa Gallinelli (Valeria), che dopo aver analizzato Al Pacino e Robert De Niro, chiede all’amica: “Burt Reynolds e Robert Redford?”. Giorgi non ha dubbi: “Ma Burt è troppo buro! Forse meglio Redford. Me sembra un po’ più tenero, più dolce”.
Per un come lui, seduttore seriale, la vita privata è stata burrascosa. La leggenda vuole che non abbia risparmiato le partner. Dopo il primo matrimonio con Judy Carne, incontrata in tv, durato due anni, dal ’63 al ’65, nel 1988 Reynolds si sposa con Loni Anderson, anche lei attrice. Adottano un bambino, Quenton. Dope tre anni era il matrimonio naufraga, divorziano nel 1994. Una guerra a colpi di accuse reciproche. “Loni amava spendere, quando le ho regalato la prima carta di credito è riuscita a svuotarla di 45 mila dollari in meno di un’ora”, raccontava Reynolds. Anche lui aveva sperperato una fortuna, negli anni 90 è arrivato alla bancarotta per una serie di investimenti sbagliati, per colpa di consiglieri disonesti.
Ottantadue anni, 70 film, ad aprile si raccontava per l’ultima opera The Last Movie Star: “Una specie di memoir. Non mi vergogno di dire che ci sono ancora momenti in cui essere considerato una celebrità mi fa accapponare la pelle. Le cose, nella vita, non vanno mai come vuoi. Io non cercavo la patina, i riflettori, volevo solo fare il regista”.
Silvia Fumarola, Repubblica.it