(di Tiziano Rapanà) Ora il problema è questo: io non dovrei parlare del film, ma limitarmi a consigliarlo. Perché più parli di un film e più sveli una nuance che deve fare parte della curiosità dello spettatore. Deve essere solo sua nel mistero del piacere della scoperta e non posso certo anticiparla io, con le mie impressioni. Meno ne parlo e più non imbratto il quadro di giuste aspettative procurate dal trailer. Il film va visto, anche se non gira più tanto nei cinema. Richiedetelo nelle vostre sale di fiducia, Il diavolo è Dragan Cygan vi stupirà. Io mi trovo in difficoltà perché si dico qualcosa della trama che, nella forma dell’action d’autore, devo limitarmi a quello che è: ossia ad una vendetta proletaria sul capitalismo che avvelena e mortifica l’essere umano. Il film è tra le tante cose anche nemico del demonio della pecunia che spinge a superare ogni limite. Emiliano Locatelli, alla sua opera prima, scrive e dirige un’idea di mondo reale lontano dalle quisquilie comicarole delle operine d’intrattenimento. Enzo Salvi lo asseconda nell’idea di cinema tutta diversa dalle due camere e cucina che si vedono nei troppi film italiani. Salvi, altro che Er Cipolla, qui mette in campo le sue sfumature d’attore. Bravissimo nel raccontare in poche frasi il tormento di una vita persa nelle inquietudini dell’orrore. Bravi anche gli altri (Sebastiano Somma che torna ai film indipendenti come ai tempi di Hanna D di Rino Di Silvestro, Gennaro Lillio che aveva già brillato in Chi ha rapito Jerry Calà?, lo straordinario Adolfo Margiotta). Questo è un cinema che si fa ricordare, perché vuole distruggere l’idea di vedere per dimenticare; di passare due ore senza pensieri e il resto è orpello, risatina innocua. Locatelli ha fatto un lavorone che va recuperato. Per fortuna ho detto pochissimo del film, ce l’ho fatta, non vi ho guastato la curiosità di scoprire l’insolito che in Italia – per fortuna – ancora esiste e prospera nella terra delle produzioni senza padroni.