Il film di Renato De Maria ispirato ai poliziotteschi anni 80. Con Sara Serraiocco e Marie-Ange Casta. In sala dall’8 al 10 aprile, dal 19 su Netflix
Milano spara, Netflix risponde. Si chiama Lo spietato il film di Renato De Maria che è una lettera d’amore al genere del poliziottesco italiano anni Ottanta che esce tre giorni in sala (8,9 e 10 aprile per Nexo) e poi sbarca sulla piattaforma il 19 aprile. Lo spietato del titolo è Riccardo Scamarcio, Salvo Russo, un calabrese emigrato a Milano con la famiglia nei Settanta che scala velocemente i vertici criminali diventando uno yuppie fuorilegge per poi pagarne il prezzo, ça va sans dire, per dirla come il nostro gangster che prima confonde l’espressione “va da sé” per la marca di vino francese e poi la fa sua in modo ricorrente durante il racconto fuoricampo. Il film, molto liberamente ispirato a Manager calibro 9 di Pietro Colaprico e Luca Fazzo il cui titolo richiama al classico di Fernando Di Leo Calibro 9 con Gastone Moschin. “Un film amato e citato da Quentin Tarantino ma anche da Francis Ford Coppola, che non a caso volle Moschin nella saga del Padrino”, racconta il regista. “A colpirmi del libro sono state tante cose – prosegue De Maria, – la sua natura di tragedia greca ma anche la possibilità di realizzare una commedia gangster, l’idea della parabola di un criminale fuori dagli schemi, e poi l’ambientazione nella Milano da bere anni Ottanta”. Se sull’aspetto cronaca e biografia ci si è staccati dal libro per costruire una figura che è figlia del cinema poliziesco, “la ricostruzione d’epoca è il più possibile filologica nell’uso delle automobili, delle scenografie: la Milano d’allora era un trionfo di design e creatività. Per i vestiti abbiamo setacciato gli archivi della Maison Versace, divorato annate di Vogue, studiato videoclip dell’epoca. Ci siamo rivolti a collezionisti di abiti vintage rari e preziosi”.”De Maria mi ha mandato il copione un anno prima del set, l’ho letto in un giorno e ho detto: lo faccio. Un personaggio che mi dava la possibilità di spaziare e creare, un tipo di umanità che ho conosciuto nell’infanzia ad Andria, con le macchine, i vestiti vistosi e improbabili occupazioni da manager”.Ad affiancare Scamarcio un cast affiatatissimo. L’ottima Sara Serraiocco è la moglie di Salvo, prima una adolescente anonima, poi una sposa felice e complice, poi una madre rassegnata, in crisi religiosa, in fine donna matura dal piglio manageriale. L’amante procace è incarnata con grazia da Marie-Ange Casta (sorella di Laetitia). “Avevo immaginato un’attrice italiana con l’accento francese, ma non trovavo quella giusta, stavo per rassegnarmi ma il produttore Angelo Barbagallo ha detto: cerchiamo in Francia. Siamo andati e incontrando Marie-Ange ne sono rimasto conquistato” racconta De Maria. “Abbiamo prodotto il film con Rai cinema, Netflix è subentrata a film già girato e non ha interferito minimamente. Ci è sembrata una grande opportunità, dopo il passaggio al cinema, arrivare in tanti Paesi di tutto il mondo”.”Io e Sara ci stiamo ridoppiando in inglese sul labiale italiano – spiega Scamarcio, – credo non sia mai stato fatto, è difficile ma anche stimolante. Come lo è stato girare in fretta un film così complicato, ma c’era davvero una grande energia. Io ho cercato di dare al mio personaggio un po’ di umanità”. E anche un po’ di ironia di cui Scamarcio attore è portatore sano e che nel film raggiunge i vertici nel confronto con la Milano dei salotti d’arte sperimentale, quando il nostro se la prende con un protetto dell’amante che dichiara di essere egli stesso oggetto d’arte. “A me l’arte moderna piace, ma a volte ci sono esagerazioni che qualche schiaffo lo meriterebbero”, dice Scamarcio. Lo spietato è un film – 37 giorni di riprese e 4 milioni di budget – “che aspettavo di fare dai tempi dell’adolescenza ” racconta De Maria, che ci ha infilato un paio di momenti personali: la madre che cuciva le bambole come la moglie del protagonista quando è in carcere e poi uno dei sodali che tira di coca sopra alla copertina di un 45 giri di Isabella Ferrari, la moglie di De Maria.
Arianna Finos, repubblica.it