Il documentario di Ilana Navaro in onda in prima visione su Sky Arte l’8 marzo alle 21 e 15
Il nome vi evoca soltanto il ricordo confuso di una ragazza incredibilmente sexy che balla indossando un gonnellino di banane? “Josephine Baker libertà e provocazione”, il documentario di Ilana Navaro in onda in prima visione su Sky Arte l’8 marzo alle 21 e 15, restituisce alla prima diva nera della storia l’immagine composita e complessa che si merita.Di sicuro Baker, nata a Saint Louis nel Missouri nel 1906 e arrivata al successo con la Revue Nègre a Parigi nel 1925, è stata l’incarnazione disinibita degli anni Venti che volevano dimenticare la guerra e dell’Europa che si rinnovava artisticamente ed esteticamente, con Picasso che la definì «la Nefertiti del suo tempo», Calder che ne fece una scultura, Colette che le scriveva lettere, Simenon che impazzì d’amore per lei. Josephine Baker suscitava nel pubblico tutte le fantasie legate alla negresse, anche le più inconfessate, da Baudelaire in poi: e riusciva a sfidare ogni pregiudizio. Ma è stata anche militante per i diritti civili, eroina del controspionaggio per la Francia libera, madre adottiva di 12 bambini che, profeticamente, chiamò «la mia tribù arcobaleno».Divisa tra gli Stati Uniti, la sua nazione di nascita, dove aveva fatto la fame e servito come cameriera nelle famiglie dei bianchi, e la Francia che subito la idolatrò, Josephine si scontrò con i propri demoni tutte le volte che tornò in America. Il documentario evoca circostanze che ricordano “Green Book”, vincitore quest’anno dell’Oscar come miglior film: con la star che aveva Parigi ai suoi piedi ma che a New York si vede rifiutare una stanza d’albergo, e che per viaggiare nel Profondo Sud preferisce usare uno pseudonimo, dovendo comunque fare i conti con «due sale d’attesa, due buffet, due lavandini», con lo sguardo di disprezzo dei bianchi e quello d’incomprensione dei suoi fratelli neri.Ma le immagini con cui si apre il film danno una chiave decisiva a questa vita singolare: mostrano Josephine mentre parla alla marcia per i diritti civili di Washington, nel 1963: unica donna a prendere il podio accanto a Martin Luther King. È in divisa dell’esercito francese e ha molte decorazioni in mostra. «Questo è il giorno più felice della mia vita», riconosce. Quando forse si ricompose la contraddizione che Margo Jefferson, già critica teatrale del New York Times e docente alla Columbia, nel documentario definisce così: «Non voleva che scorgessimo il lato drammatico dell’essere la prima star nera internazionale».
Egle Santolini, lastampa.it