Rai 3 sua santità Papa Francesco ospite di Fabio Fazio a “Che Tempo Che fa”: nell’immaginario universale quello che conta è la guerra, la vendita delle armi
Alla domanda di apertura “Lei ha incontrato migliaia di persone e ha ascoltato migliaia di storie di sofferenza e a volte di dolore indicibile. Come fa? Come riesce ad abbracciare tutti e sopportare un peso così grande?”:
Buonasera e grazie di questo incontro. Mi piace tanto. La domanda è un po’ forzata perché se lei va e vede tanta gente che sopporta cose brutte, per cose quotidiane… tanta gente per esempio, per essere attuali, che nella propria debolezza sopportano difficoltà familiari, difficoltà economiche, padri di famiglia che vedono che il salario non arriva a fine mese, e poi con la pandemia (ancora di più), credo che non sarei onesto se io dicessi che io sopporto tanto. No, io sono uno che sopporta come tutta la gente sopporta. E poi non sono solo, c’è tanta gente che mi aiuta, tutta la Chiesa, i Vescovi, gli impiegati accanto a me, uomini e donne bravi che mi aiutano… per questo, ti dico la verità, non sono un campione di peso che sopporta le cose. Sopporto come la maggioranza della gente sopporta.
Sui 19 migranti trovati morti al confine tra Grecia e Turchia e la cultura dell’indifferenza:
Questo è un segnale un po’ della cultura dell’indifferenza. C’è un problema di categorizzazione; ci sono categorie, al primo posto e al secondo posto: le categorie al primo posto in questo momento, mi spiace dirlo, sono le guerre. La gente è al secondo posto. Pensa per esempio allo Yemen: da quanto tempo lo Yemen soffre la guerra e da quanto si parla dei bambini dello Yemen? Un esempio chiaro, e non si trova soluzione al problema da anni. Non voglio esagerare, più di 7 sicuro, se non 10. Ci sono categorie che importano e altre sono in basso: i bambini, i migranti, i poveri, coloro che non hanno da mangiare. Questi non contano, almeno non contano al primo posto, perché c’è gente che vuole bene a questa gente, che cerca di aiutarle, ma nell’immaginario universale quello che conta è la guerra, la vendita delle armi. Pensa che con un anno senza fare armi, si potrebbe dare da mangiare ed educazione a tutto il mondo, in modo gratuito. Ma questo è in secondo piano. Si pensa alle guerre, e noi siamo abituati a questo. È dura ma è la verità. E le guerre producono quello che lei ha detto: bambini che muoiono di freddo o pensa ad Alan Kurdi sulla spiaggia e tanti altri che non conosciamo. Ma questi sono seconda categoria, la prima categoria è la guerra. Non voglio fare il tragico ma è la verità. Vediamo come si mobilitano le economie e cosa è più importante oggi, la guerra: la guerra ideologica, di poteri, la guerra commerciale e tante fabbriche di armi.
Sulla guerra:
La guerra è un controsenso della creazione; nella Bibbia è curioso: Dio crea l’uomo e la donna, andate in tutto il mondo, lavorate, fate figli, possedete la Terra. E subito dopo, una guerra fra fratelli. Uno cattivo contro un innocente, per invidia; e poi una guerra culturale, diciamo così, con la torre di Babele… subito vengono le guerre. C’è come un anti senso della creazione, per questo la guerra è sempre distruzione. Per esempio, lavorare la terra, curare i figli, portare avanti una famiglia, far crescere la società: questo è costruire. Fare la guerra è distruggere. È una meccanica di distruzione.
Sul Mediterraneo come un grande cimitero e il respingimento dei migranti:
Quello che si fa con i migranti è criminale. Per arrivare al mare soffrono tanto. Ci sono dei filmati sui lager, e uso questa parola sul serio, lager, nella Libia, lager dei trafficanti. Quanto soffrono nelle mani dei trafficanti coloro che vogliono fuggire. Se volete vedere questi filmati, sono nella sezione migranti e rifugiati del Dicastero dello Sviluppo Umano. Soffrono e poi rischiano per attraversare il Mediterraneo. Poi, alcune volte, sono respinti, per qualcuno che per responsabilità locale dice ‘No, qui non vengono’; ci sono queste navi che girano cercando un porto, che tornano o che muoiono sul mare. Questo succede oggi. Una cosa è vera: ogni Paese deve dire quanti migranti può accogliere; questo è un problema di politica interna che deve essere pensato bene e dire ‘Io posso fino a questo numero’. C’è l’Unione Europea, bisogna mettersi d’accordo, così si fa l’equilibrio, in comunione. Adesso c’è l’ingiustizia: vengono in Spagna e in Italia, i due Paesi più vicini, e non li ricevono altrove. Il migrante va sempre accolto, accompagnato, promosso e integrato. Accolto perché c’è la difficoltà, poi accompagnarlo, promuoverlo e integrarlo nella società. Quest’ultimo aspetto è molto importante. Pensate alla tragedia di Zaventem, questo l’ho detto tante volte, i ragazzi che hanno fatto quello erano belgi, nati in Belgio, ma figli di migranti ghettizzati, non integrati. Lì crescono le ideologie, tanto. Ci sono Paesi che con il calo demografico che vivono, penso alla Spagna, all’Italia e altri, hanno bisogno di gente. Un migrante integrato aiuta quel Paese. Dobbiamo pensare intelligentemente alla politica migratoria, una politica continentale. È una responsabilità nostra. Il fatto che il Mediterraneo sia oggi il cimitero più grande d’Europa ci deve far pensare. Credo che questo sia realismo puro.
Sui privilegi e la tentazione di guardare dall’altra parte:
Su questo si deve pensare perché chi è nato in un Paese sviluppato con la possibilità della scuola, dell’università, del lavoro deve ringraziare; succede una psicologia che ci chiude: noi vediamo tutte queste cose, le vediamo. Vediamo i bambini che muoiono, migranti annegati, le ingiustizie le vediamo anche nei nostri Paesi, ma c’è sempre una tentazione molto brutta, quella di guardare da un’altra parte, non guardare. Con i media vediamo tutto ma prendiamo distanza e guardiamo da un’altra parte. Ci lamentiamo un po’, ‘è una tragedia!’ ma poi è come se nulla fosse accaduto. Non basta vedere, è necessario sentire, è necessario toccare. Qui entra la psicologia dell’indifferenza, ‘Io vedo ma non mi coinvolgo, non tocco e vado avanti’. Quando Gesù ci parla di come dobbiamo comportarci col prossimo, ci dice la parabola del buon samaritano; ci parla prima di due persone brave: uno scriba e un dottore della legge, un uomo osservante della legge, che passa, vede e continua; un sacerdote, forse un buon sacerdote, passa, vede e continua. Soltanto un uomo, uno straniero, si ferma, tocca e se ne prende carico. Ci manca il toccare le miserie e toccare ci porta all’eroicità. Penso ai medici, agli infermieri e infermiere che hanno dato la vita in questa pandemia: hanno toccato il male e hanno scelto di rimanere lì con gli ammalati. Questo è grande, ma se tu non tocchi… una volta ho letto un articolo molto bello, (che diceva) ‘Il tatto è il senso più completo, più pieno, quello che ci mette la realtà nel cuore. Quando qualcuno viene a consultarmi o a confessarsi, io domando se danno l’elemosina (e rispondono) ‘Sì, sì”; e quando chiedo se quando danno l’elemosina toccano la mano della persona (rispondono) ‘Ah, non so, non me ne sono accorto’; e chiedo se guardano negli occhi quella persona o se guardano da un’altra parte. Toccare, farsi carico dell’altro. Ma se noi guardiamo senza toccare con le nostre mani cos’è il dolore della gente, non potremo mai trovare una soluzione a questo.
Sulle emergenze ambientali:
Stiamo vedendo questa realtà un po’ dappertutto, pensiamo in Amazzonia, la deforestazione. Sappiamo cosa significa una politica di deforestazione: meno ossigeno, cambiamento climatico, morte della biodiversità, uccidere la Madre Terra. Significa non avere quel rapporto che hanno quei popoli aborigeni, originari, che loro chiamano ‘il buon vivere’, che non è la buona vita, ma vivere in armonia con la Terra. Ho ascoltato una canzone bellissima di Roberto Carlos poco fa: ‘Papà, perché il fiume non canta più?’ ‘La verità, figlio mio, è che il fiume non c’è più. Lo abbiamo finito noi’. Questo è un dramma. Il capo degli scienziati italiani in un convegno che si è tenuto qui in Vaticano alcuni mesi ha detto: ‘La mia nipotina, nata alcuni giorni fa, se le cose non cambiano, dovrà vivere entro 30 anni in un mondo inabitabile’. (Dobbiamo) metterci questo in testa: prenderci a carico la Madre Terra. I pescatori di San Benedetto del Tronto che sono venuti da me hanno trovato in un anno 3 milioni di tonnellate, o comunque una quantità enorme, di plastica. Poi sono tornati e mi hanno parlato del doppio ma si sono organizzati e prendono ogni rifiuto dal mare per pulirlo, perché sentono che il mare è cosa loro, sono entrati in sintonia con la Terra e l’hanno curata. Buttare via plastica in mare è criminale, questo uccide la biodiversità, la Terra, tutto. Prendersi cura del Creato è un’educazione che dobbiamo imparare.
Sulla sua visita a un negozio di musica:
La curiosità è lecita, tutti siamo curiosi… Prima di tutto non sono andato a comprare. Queste persone sono amici miei da anni, hanno risistemato il negozio. Sono andato a benedire il nuovo negozio. Gli voglio bene, siamo amici. Era di notte, era scuro, proprio lì c’era un giornalista che aspettava un amico per prendere un taxi… per questo la notizia è uscita. È vero che ascolto musica, mi piacciono i classici, tanto. Anche il tango mi piace tanto.Ma un porteño che non balla il tango non è un porteño.
Sull’aggressività sociale:
Il problema dell’aggressività sociale è un problema che hanno studiato gli psicologi e i sociologi bene. E per questo non mi permetto di dire una parola perché loro sono coloro che sanno spiegare bene. Soltanto sottolineo una cosa: come è cresciuto il numero dei suicidi giovanili. Cosa significa? C’è un’aggressività che scoppia, pensa nella scuola il bullying. Quando ti prendono un ragazzo o una ragazza e dai dai dai, per distruggerlo. Questa è un’aggressività nascosta. Questa aggressività è un problema sociale, non è soltanto l’aggressività di una persona malata, ma socialmente il bullying è un problema che si dà, eccome. Quest’aggressività nostra va educata. L’aggressività non è una cosa in sé stessa negativa perché ci vuole essere aggressivo per dominare la natura, per andare avanti, costruire, c’è un’aggressività positiva diciamo così. Ma c’è un’aggressività distruttiva che incomincia anche con una cosa molto piccola ma voglio menzionarla qui: comincia con la lingua, il chiacchiericcio. Ma il chiacchiericcio, nelle famiglie, nei quartieri, distrugge. Un nunzio apostolico ha fatto uno studio del chiacchiericcio, molto buono, e nella copertina la stampa è questa: l’impronta digitale e uno che, come un filo, la stira per distruggerla. Questo è il chiacchiericcio. Distrugge l’identità. Il chiacchiericcio non è una cosa che si fa soltanto tra i governanti, si trova tra le famiglie. Per questo mi permetto di consigliare, per non distruggerci: no al chiacchiericcio. Se tu hai una cosa contro l’altro o te la mangi te o vai da lui e dilla in faccia, essere coraggiosi, coraggiose. Ma no, è una cosa dolce chiacchierare degli altri e questo distrugge. Sembra un sermone morale ma è una realtà: lì incominciano le guerre, le divisioni.
Sul rapporto tra genitori e figli:
Il rapporto fra i genitori e figli io dico sempre una parola: vicinanza. Vicinanza con i figli. Quando si confessano coppie giovani o quando parlo con loro, faccio sempre una domanda: ‘Tu giochi con i tuoi figli?’ Quella gratuità di papà e mamma col figlio. Alle volte sento risposte dolorose ‘Ma Padre, quando io esco da casa per lavorare loro dormono e quando torno la notte stanno dormendo un’altra volta’. È la società crudele che si stacca dai figli. Ma la gratuità con i propri figli: giocare con i figli e non spaventarsi dei figli, delle cose che dicono, delle ipotesi, o anche quando un figlio, già più grande, adolescente, fa qualche scivolata, essere vicino, parlare come padre, come madre. La vicinanza. I genitori che non sono vicini ai figli, che per stare tranquilli ‘Ma prendi la chiave della macchina, vai’ questi non fanno bene. I genitori devono essere, mi permetto la parola, quasi complici con i figli. Quella complicità genitoriale che fa che crescano insieme padri e figli. E questo è tanto bello.
Sulla sua frase “Un uomo può guardare un altro uomo dall’alto in basso solo quando lo aiuta a rialzarsi”:
È vero. Nella società vediamo quante volte si guardano gli altri dall’alto in basso per dominarli, sottometterli, e non per aiutarli a rialzarsi. Pensa soltanto – è una storia triste, ma di tutti i giorni – a quegli impiegati che devono pagare col proprio corpo la stabilità lavorativa, perché il loro capo li guarda dall’alto in basso, ma per dominarli. È un esempio di tutti i giorni, ma veramente di tutti i giorni. Invece questo gesto è lecito soltanto per fare questo: io posso guardare un altro dall’alto in basso soltanto a rischio di cadere anch’io, per fare un gesto nobile: alzati fratello, alzati sorella. Altri sguardi dall’alto in basso non sono leciti, mai, perché sarebbero sguardi di dominazione, e questo non va bene.
Sul male e sul perdono: Dio ci ha fatto buoni ma liberi. E quella libertà è quello che è capace di fare del male. Quella libertà è capace di fare tanto bene e anche tanto male. Siamo liberi, no? Nel mito della Creazione c’è scritto: “Non fare questo, perché accadrebbe questo. E tu hai fatto questo, e ti ammali”. E come [Dio] ci ha fatto liberi, noi siamo padroni delle nostre decisioni e anche di fare decisioni sbagliate. Questa è la libertà che ci ha dato Dio.
Dirò una cosa che forse farà scandalizzare qualcuno, ma dirò la verità: la capacità di essere perdonato è un diritto umano. Tutti noi abbiamo il diritto di essere perdonati se chiediamo perdono. È un diritto che nasce proprio dalla natura di Dio ed è stato dato in eredità agli uomini. Noi abbiamo dimenticato che qualcuno che chiede perdono ha il diritto di essere perdonato. Tu hai fatto qualcosa, lo paghi. No! Hai il diritto di essere perdonato, e se poi tu hai qualche debito con la società arrangiati per pagarlo, ma con il perdono. Il papà del figliol prodigo aspettava il figlio per perdonarlo, e il figlio aveva il diritto di essere perdonato, ma lui non lo sapeva, per questo dubitava tanto. L’anno scorso alcuni ragazzi hanno fatto un’opera sul figliol prodigo con la musica pop, bellissima, e l’ultimo atto era su quando il figliol prodigo decide di ritornare a casa. E dice a un amico: “Sai, ho paura che papà non mi riceva e anche che chiami la polizia e mi mandi in carcere, ho paura”. E l’amico gli consiglia: “Invia una lettera a papà, digli papà ho sbagliato, vorrei trovarti, vorrei chiederti perdono, ma ho paura di avvicinarmi. Per favore, se tu sei disposto a ricevermi, a perdonarmi, metti un fazzoletto bianco in una finestra della casa”. Questa è la lettera che invia al papà, e poi l’opera finisce quando il figlio sta tornando a casa e, quando prende proprio il cammino che va diretto alla casa, guarda la casa e la casa è piena di fazzoletti bianchi, piena. Un simbolo del perdono di Dio, un perdono che noi abbiamo ereditato. E non solo di perdonare e di essere perdonati, ma anche il diritto umano di essere perdonati. Questo è importante, non dimentichiamocelo.
Sull’inspiegabile sofferenza degli innocenti:
È vero, Dio ci dà la libertà, e tanti mali vengono proprio perché l’uomo ha perso la capacità di seguire le regole, ha cambiato la natura, ha cambiato tante cose, e anche per le proprie fragilità umane. E Dio lascia che questo vada avanti. Per me, una domanda a cui non sono mai riuscito a rispondere e che alcune volte mi scandalizza un po’ è: “Perché soffrono i bambini? Perché soffrono i bambini?”. Io non trovo spiegazioni a questo. Io ho fede, cerco di amare Dio che è mio padre, ma mi domando: “Ma perché soffrono i bambini?”. E non c’è risposta. Lui è forte, sì, onnipotente nell’amore. Invece l’odio, la distruzione, sono nelle mani di un altro che ha seminato per invidia il Male nel mondo. Ma il Signore rispetta fino alla fine, accompagna sempre, rispetta. E poi ha lasciato che suo figlio morisse così e lo ha lasciato andare. È un esempio di come è Dio: non è crudele, è un mistero forse che noi non capiamo bene, ma nel rapporto di Dio padre con suo figlio possiamo vedere bene cosa c’è nel cuore di Dio quando succedono queste cose. Dio è forte, è onnipotente, nell’amore. Con le cose sbagliate c’è una curiosità che mi è sempre tornata: con il Male non si parla. Dialogare con il Male è pericoloso. E tanta gente va, cerca di dialogare con il Male – anche io mi sono trovato in questa situazione tante volte – ma mi chiedo perché, un dialogo con il Male, è una cosa brutta quella. Gesù non ha mai dialogato con il Diavolo, mai, mai! E quando ha dovuto rispondere, nel deserto, gli ha risposto con la risposta di Dio, tre situazioni della Bibbia, ma mai lo ha fatto entrare, o lo caccia via o gli risponde con la Bibbia. Ma il dialogo con il Male non va bene, questo vale per tutte le tentazioni. E quando ti viene questa tentazione, “perché soffrono i bambini?”, io trovo una sola strada: soffrire con loro. E per me in questo è stato un gran maestro Dostoevskij.
Sulle priorità dei governanti della Terra:
Ci sono tante persone con cui parlo che hanno tanti ideali, uno degli ultimi capi di Stato che ho incontrato era una meraviglia come sentiva [le mie stesse priorità], ma poi ci sono i condizionamenti politici, sociali, anche della politica mondiale, che fermano le buone intenzioni, e allora si deve negoziare tanto. Comunque ho trovato tanta gente che pensa che dovremmo cambiare. Ma in Fratelli tutti, nel primo capitolo, io ho voluto soffermarmi sulle ombre, su quali sono oggi le ombre di questa società. E lì credo di averne descritte la maggioranza, quelle sono le malattie sociali di oggi. Tanta gente, tanti governanti che sono bravi, che hanno buone intenzioni, ma tante volte non sono liberi davanti a questa pressione delle ombre che sono culturalmente oggi nel mondo. Credo che leggendo quel capitolo potremo capire perché c’è questa impotenza politica, tante volte.
Sul futuro e le criticità della Chiesa:
Io immagino la Chiesa del futuro come l’ha immaginata San Paolo VI dopo il Concilio, con l’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi. Poi io ho ne ho fatta un’altra, che si chiama Evangelii Gaudium, ma non è tanto originale, è un plagio di Evangelii Nuntiandi. Io ho solo cercato di indicare la strada della Chiesa verso il futuro: una Chiesa in pellegrinaggio. E oggi il male più grande della Chiesa, il più grande, è la mondanità spirituale. Una Chiesa mondana. Un grande teologo, il cardinale de Lubac, diceva che la mondanità spirituale è il peggio dei mali che possono accadere alla Chiesa, peggio ancora del male dei Papi libertini. Peggio ancora, dice, peggio ancora. E questa mondanità spirituale dentro la Chiesa fa crescere una cosa brutta, il clericalismo, che è una perversione della Chiesa. Il clericalismo che c’è nella rigidità, e sotto ogni tipo di rigidità c’è putredine, sempre. Queste sono le cose brutte che succedono oggi nella Chiesa, la mondanità spirituale che crea questo clericalismo e che porta a posizioni rigide, ideologicamente rigide, e l’ideologia prende il posto del Vangelo. Sugli atteggiamenti pastorali ne dico solo due, che sono vecchi: il pelagianesimo e lo gnosticismo. Il pelagianesimo è credere che con la mia forza posso andare avanti. No, la Chiesa va avanti con la forza di Dio, la misericordia di Dio e la forza dello Spirito Santo. E lo gnosticismo, quello mistico, senza Dio, questa spiritualità vuota… no, senza la carne di Cristo non c’è intesa possibile, senza la carne di Cristo non c’è redenzione possibile. Dobbiamo tornare al centro un’altra volta: “Il verbo si è fatto carne”. In questo scandalo della croce, del verbo incarnato, c’è il futuro della Chiesa.
Sulla preghiera:
Pregare è quello che fa il bambino quando si sente limitato, impotente, [dice] “papà, mamma”. Questo è il primo grido della preghiera. Ma se tu non credi che hai un papà, che hai una mamma vicino, non sai gridare, non sai chiedere. E pregare significa guardare i nostri limiti, i nostri bisogni, i nostri peccati, e dire: “Papà, guardami. Il tuo sguardo mi purifica, mi dà forza”. Pregare è entrare con la forza, oltre i limiti, oltre l’orizzonte, e per noi cristiani pregare è incontrare “papà”, come “Paolo”. Questa parola non la invento io. San Paolo dice che Dio è padre, e noi diciamo “papà”, non padre. E quando tu ti abitui a dire “papà” a Dio significa che stai andando bene, sulla strada della religione, ma se tu pensi che Dio è quello che ti annienterà nell’Inferno, se tu pensi che Dio se ne infischia della tua vita, che non gli importa, la tua religione sarà superstizione. Pregare significa guardare, dai miei bisogni, dalla mia piccolezza, come fanno i bambini che dicono “papà”. È una cosa interessante: i bambini, nel loro sviluppo psicologico, passano per quella che si chiama l’età dei perché. Perché si svegliano, vedono la vita e non capiscono, e dicono: “Papà, perché? Papà, perché?”. Ma se noi guardiamo bene, il bambino non aspetta la risposta del papà, quando il papà incomincia a rispondere va a un’altra domanda. Quello che vuole il bambino è che lo sguardo del papà sia su di lui. Non importa la spiegazione, importa solo che il papà lo guardi, e questo gli dà sicurezza. Pregare è un po’ tutto questo.
Alla domanda se ha degli amici:
Sì, ho degli amici che mi aiutano, conoscono la mia vita come un uomo normale, non che io sia normale, no. Io ho delle mie anormalità eh, ma come un uomo comune che ha degli amici; e a me piace stare con gli amici qualche volta a raccontare cose mie, ascoltare quelle di loro, ma anzi io ho bisogno degli amici. Per questo uno dei motivi per i quali io non sono andato ad abitare nell’appartamento pontificio, perché i papi che c’erano prima erano Santi e io non me la cavo, non sono tanto Santo. Ho bisogno dei rapporti umani, per questo abito in questo albergo di Santa Marta dove si trova gente che parla con tutti, trovi degli amici. È una vita per me più facile, l’altra non me la sento di farla, non ho le forze e le amicizie a me danno forza. Anzi, ho bisogno degli amici, sono pochi eh, sono pochi ma veri.
Su come immaginava il suo futuro da bambino:
Vi dirò una cosa che vi scandalizzerà, la prima cosa che io volevo fare era il macellaio. Perché quando andavo con la nonna o la mamma a fare le spese alla fiera lì, vedevo che il macellaio aveva una borsa qui e metteva i soldi dentro no? Una volta ho detto “A me piacerebbe essere macellaio”, “Ma perché?”, “Eh, per i soldi, tanti soldi che ha, no?”. Eh, ma su questo si capisce la radice genovese che ho dalla parte materna. Che siamo, i genovesi, un po’ attaccati ai soldi. Piemontesi pure ma anche simulano di più. Questo… da bambino. Poi la cosa che è venuta è la chimica, mi piaceva tanto, ho fatto la chimica, ho lavorato in laboratorio e lì ho iniziato la medicina. Stavo preparando l’ingresso in facoltà di medicina quando è arrivata la vocazione a 19 anni e sono entrato in seminario. Ma la chimica è stata una cosa che mi ha sedotto tanto, lo studio della chimica e poi è andata per la medicina e alla fine qui.
Sul fatto che non veda più la televisione dal 16 luglio 1990:
È stato il Signore a muovere il cuore poi il giorno dopo, il giorno della Madonna del Carmine, ho sentito che dovevo fare questo. Ho guardato soltanto eventi, la presa di possesso dei Presidenti, un incidente aereo, le Torri Gemelle… ma soltanto queste cose, punto e niente di più. Sì, non guardo la televisione, questo non perché la condanno ma è una decisione che ho fatto al Signore quando me la chiedeva ma, volevo sottolineare una cosa che lei ha menzionato, il senso dell’umorismo, per favore, è una medicina. Nella esortazione apostolica Gaudete et Exsultate sulla Santità c’è la nota 101. Cercatela, c’è la preghiera di San Thomas More sul senso dell’umorismo. Io la prego da più di quaranta anni. È una preghiera per pregare tanto, ti fa tanto bene. Senso dell’umorismo che ti fa relativizzare le cose e anche ti dà una gioia grande, ti fa gioioso. Questo fa tanto bene, fa tanto bene.
Le ultime parole rivolte al pubblico:
Mi viene in mente una cosa ma la dirò alla fine. Ringraziare la pazienza. Chiedere di pregare per me, ne ho bisogno, e se qualcuno di voi non prega perché non crede, non sa o non può almeno che mi mandi buoni pensieri, buone ondate. Ne ho bisogno della vicinanza della gente. Grazie. E questo per congedarmi, mi viene in mente una scena di un film del dopoguerra che mi ha fatto tanto bene… Per finalizzare il dialogo, credo che fosse Vittorio De sica che faceva l’indovino, leggeva le mani “grazie 100 lire”, io vi dico “100 preghiere”, “100 lire, 100 preghiere. Grazie”