Ci sono più monologhi in questo Sanremone che in tutto Shakespeare. Però il monologo più monologo, il monologo dei monologhi, il monologo al quadrato è quello di Roberto Benigni di ieri sera. Anche perché dura quaranta minuti, che ne fanno anche il più lungo del Ventiventi e forse dell’intera storia del festival, o magari dell’uomo. Nemmeno Baudo aveva mai parlato tanto, almeno di seguito. L’ora di Benigni arriva (finalmente) alle 22.53. Accompagnato dala banda, una vera banda da strapaese longanesiano, sbuca dal red carpet di piazza Colombo. Ingresso dalla platea dell’Ariston, e sembra quasi, «Roberto!», la famosa notte in cui vinse l’Oscar. Prima battuta: «Questo è il più bel Sanremo che abbia mai visto». E parte con il ricordo delle famose gag con Baudo, «quando gli agguantai i soliti noti». Insomma, è il solito Benigni. Nel giovedì di mezzo festival, la prima serata senza Fiorello («Ceno con Benigni e poi guardo il festival»), l’altro elemento di interesse sono le cover e i duetti. Per ora, è la musica migliore di tutta la maratona: le canzoni non sono infatti quelle del Sanremo corrente, ma ultraclassici di quelli precedenti. Si inizia con un duetto fra Zarrillo e Fausto Leali, ma poi qualche accoppiata è vincente. Arisa con le labbra nuove piace nei gorgheggi di «Vacanze romane» con Masini. Gualazzi e Simona Molinari, elegantissimi, miniano «E se domani» senza far rimpiangere troppo Mina divina. «La voce del silenzio» con Alberto Urso in doppipetto glitterato e Ornella Vanoni con capelli arancione e amnesie, 63 anni di differenza, è talmente surreale da risultare perfino piacevole. Elodie risolve con classe «Adesso tu», Francesco Gabbani canta «L’italiano» vestito da astronauta. Invece per Riki e Ana Mena nell’«Edera» si può solo invocare Nilla: perdonali perché non sanno quello che cantano. Morgan, che continua a fare capricci nella speranza di farsi cacciare, alla fine ha deciso che lo si nota di più se resta, specie se dirige l’orchestra. In ogni caso, l’intonazione di molti è tutto materiale per una prossima puntata di «Chi l’ha visto?». Voti dell’orchestra, che contano per la classifica finale: primi Tosca, Pelù e Pinguini Tattici Nucleari, ultimi Riki, Elettra Lamborghini, Bugo e Morgan. Per il resto, Amadeus ha capito che un Sanremo che finisce alle due del mattino non è più un festival ma una tortura, quindi cerca di accelerare e tenere il ritmo. Si conferma che è un professonista perché ci riesce abbastanza, ma c’è sempre troppo di tutto. Nel turn over delle primedonne tocca a due fanciulle nuove. Una è Alketa Vejsiu, star della tivù albanese vestita da cartoon Disney che parla italiano a velocità supersonica: la prossima volta Sanremo fatelo presentare a lei, ce la caveremmo in un’oretta. L’altra è la modella Georgina Rodriguez, giunta (in elicottero) per la modica somma, pare, di 140 mila euro e invitata in quanto fidanzata di Cristiano Ronaldo, seduto in prima fila. A proposito di femminismo… E qui si ripropone il problema di tutto il festival, nel senso che far fare alle gentili ospiti le vallette sarebbe politicamente scorrettissimo, quindi per loro bisogna inventarsi qualcosa. Ma finora al festival non ci sono riusciti. Vedi i siparietti in spagnolo maccheronico fra la bella Georgina e Amadeus con coinvolgimento dell’incolpevole CR7, che risulterebbero imbarazzanti anche alla filodrammatica del bar Sport. C’è però, a sorpresa, un bello spot per il concerto «Una, nessuna e centomila» contro la violenza sulle donne il 19 settembre a Reggio Emilia. Nannini, Mannoia, Pausini, Giorgia, Emma, Amoroso, Elisa sono le magnifiche sette sul palcoscenico dell’Ariston. Ma le donne del festival restano personaggi in cerca di autori (non questi, però).
Alberto Mattioli, La Stampa