Alle notizie del possibile reboot di Gossip Girl e del bizzarro revival di Beverly Hills 90210 si aggiunge oggi la distinta possibilità che torni anche un’altra delle serie tv più amate di sempre: Lost. Attenzione, però, perché non c’è nulla di confermato (ancora); Karey Burke, presidentessa di Abc Entertainment, si è recentemente detta «interessata a vedere un reboot» ma nessuno degli ideatori e produttori originali sarebbe stato, al momento, coinvolto o contattato.
La serie tv che ha cambiato la tv
È incredibile, oggi, pensare che una stagione di Lost constasse addirittura di ventiquattro puntate nei suoi primi anni ma ai tempi della cosiddetta «televisione lineare» (quella degli appuntamenti settimanali fissi, dei palinsesti e della sincronicità della visione) era la prassi. Il numero di episodi che, nel 2019, appare spropositato era in realtà figlio dell’esigenza dei network di fare cassa sulla maggior quantità di inserzioni pubblicitarie possibili e sulla fidelizzazione continuativa degli utenti; in due parole, si appoggiava ai numeri dell’audience che oggi servizi di streaming come Netflix evitano accuratamente di divulgare. E la scrittura ne era condizionata. Guardare Lost oggi implica percepire una quantità di tempi morti quasi inaccettabile ma soprattutto la consapevolezza che lo show fosse un disastro annunciato. Nulla meno che d’avanguardia per i suoi tempi, si può dire che la peculiare forma narrativa della serie abbia «rotto» la tv lineare costringendola gradualmente a ripensarsi per il pubblico digitale aggregato già all’origine della diffusione dei social network. Perché proprio il tempo, quando si parla di Lost, conta dentro e fuori dal set. Andato in onda negli Usa dal 2004 al 2010 con sei stagioni corposissime, si può dire che incarni la grande narrativa (scomodamente) incastonata in un’epoca di transizione tra vecchi e nuovi modelli di intrattenimento seriale.
Il reboot
Date queste premesse, non è assurdo immaginare l’esistenza di un remake sensato di Lost. Se, con il senno di poi, la natura «a enigmi» della serie fatta di continue promesse allo spettatore ha mostrato il fianco sul lungo corso a causa delle necessità di tempi dilatati dei network, allora come sarebbe – nel 2019 – un Lost che sembrava già pensato, inspiegabilmente e a monte, per l’epoca del binge watching ma ha finito per caracollare sotto il peso della sua stessa creatività? Cosa succederebbe se avesse i dieci episodi a stagione che avrebbe già dovuto avere ai tempi? In realtà si tratta di un classico caso di «molto rumore per nulla». Carlton Cuse, una delle teste pensati della serie, ha già detto chiaramente che non vorrebbe essere al timone di un potenziale rifacimento o ritorno, e preferirebbe che ad affacciarsi fosse qualcuno con un’idea nuova ambientata magari nello stesso universo narrativo dell’Oceanic Flight 815. Damon Lindelof è al momento impegnato nel sibillino remix di Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons e JJ Abrams, autore-asso, be’, è volato verso altri lidi. Resta la volontà di ABC espressa Karey Burke: «Sono letteralmente al punto in cui sogno [il ritorno di Lost] prima di addormentarmi», dichiara la presidentessa. «Non ho parlato con Cuse e Abrams o con gli ABC Studios. Ma mi chiedono molto spesso di quale show vorrei vedere un reboot e la mia risposta è sempre Lost – a volte Alias. Nulla da riportare, però. Forse mai. Sarebbe, però, divertente avere l’occasione di discuterne». Che ABC sia tastando il terreno e un annuncio sia davvero dietro l’angolo? È certamente possibile.
Marina Pierri, Corriere.it