Questa sera comincia Sanremo e per fortuna: tutti abbiamo titolo di parlare male di Sanremo che è come parlare male della politica, non si sbaglia mai. Ci chiederemo perché venti milioni di italiani seguano fino a notte una truppa di cantanti trascurabili che cantano canzoni trascurabili, e commenteremo il congiuntivo sbagliato e il vestito pagliaccesco, ma ci commuoveremo per l’appello edificante imposto dalla tirannia del bene. E trarremo considerazioni definitive sui nostri connazionali che come noi, ma senza aspirazioni sociologiche, si inchiodano al televisore. Però negli anni sono successe alcune cose. Gli artisti rischiano la serie B, ma i presentatori sono di serie A zona scudetto, i due più popolari: Maria De Filippi e Carlo Conti (il loro non è un Nazareno, è il Molotov-Ribbentrop, e cioè l’unione impossibile fra due mondi lontanissimi, il talent show e Domenico Modugno).
Piena serie A i comici: Virginia Raffaele e Maurizio Crozza. E altissima serie A gli ospiti: Francesco Totti e Keanu Reeves, Ricky Martin e Carmen Consoli. E così l’anno prossimo ricorderemo chi erano i presentatori, i comici, gli ospiti, le indignazioni sui compensi, le gaffe, chi è caduto dalle scale, tutto tranne il vincitore. Perché la musica a Sanremo è un alibi, come nelle nostre discussioni sui social network, nei talk, nelle campagne elettorali, in cui le questioni sono soltanto il pretesto per farci attorno un pretenzioso balletto del futile, e poi disprezzarlo. Ecco, Sanremo è lo spettacolo più moderno che c’è.
di Mattia Feltri, La Stampa