Il segreto di Hugh Grant: «Avevo paura di recitare con Nicole Kidman. Ora ho più rispetto per me stesso»

Il segreto di Hugh Grant: «Avevo paura di recitare con Nicole Kidman. Ora ho più rispetto per me stesso»

Il dubbio è l’inizio della conoscenza, ammoniva Cartesio. A volte, però, la conoscenza può rivelarsi così potente da sconvolgere di colpo intere esistenze. È quello che succede in The Undoing – Le verità non dette, nuova ma già acclamata serie (ha debuttato qualche settimana fa negli Stati Uniti) in onda da domani su Sky (on demand oppure in prima serata su Sky Atlantic) e in streaming su Now tv. Susan Bier, la regista, ha intrecciato con sapienza una trama che è tutta fatta di dubbi e conoscenza, di sospetti e rivelazioni che lasciano però sempre il campo, fino alla fine, a nuove ipotesi, a possibili interpretazioni. Tutto ruota attorno all’omicidio di una giovane donna (Matilda De Angelis) e a una famiglia dall’apparenza perfetta, formata non a caso da Nicole Kidman e suo marito, Hugh Grant. Il desiderio di andare oltre questa patina di perfezione — unito a una certa insistenza da parte di Kidman che lo aveva avvertito: «Non puoi dire no» — hanno spinto Grant ad accettare un ruolo distante anni luce dagli irresistibili goffi teneroni a cui ha abituato più di una generazione di fan.

«Ho potuto leggere solo i primi due episodi — spiega ora —, ma avevo trovato tutto molto interessante. Jonathan, il mio personaggio, è un incantevole oncologo pediatrico nato per guarire… ama sua moglie, ama suo figlio… presto però si capisce non è quello che sembra. Ma era anche un feroce psicopatico? Ovviamente qui non lo posso dire, ma mi ha affascinato». Il contesto in cui il dubbio si insinua è quello del benessere, di una New York fatta di attici, professionisti affermati e scuole private… «Le commedie di Harold Pinter erano così: borghesia, vite rispettabili con il male in agguato, appena sotto la superficie. Sia il romanzo (The Undoing è tratta dall’omonimo libro di Jean Hanff Korelitz, edito in Italia da Piemme) che la serie riguardano la capacità che abbiamo di inventare i nostri partner se non sono ciò che abbiamo sempre sognato: colmiamo i vuoti e diciamo, “sì, sono così” anche se da qualche parte, dentro di noi, sappiamo che non lo sono».

Dettaglio: sua moglie, nella serie, è una brillante psichiatra. Come dire: non si impara tutto sui libri. Un matrimonio che, in qualche modo, lo aveva impensierito anche prima di accettare il ruolo, confessa: «Ero un po’ in ansia, avevo paura di lavorare con Nicole — scherza — e con Susanne perché sebbene fosse estremamente affabile nella preparazione della serie, non ero sicuro di come sarebbe stata sul set. Alcuni registi cambiano appena iniziano a girare. Ero preoccupato. E, ad essere onesti, lo ero anche per la tv americana», confessa. Come mai? «Ogni volta che ho persino messo la punta del piede oltre il limite e l’ho guardata, negli ultimi anni, ho capito che è una bestia molto diversa dal cinema americano: ci sono considerevolmente — e questa è la cosa strana — più soldi in gioco e la gente la prende molto, molto sul serio. È un giro d’affari grosso e lo trovo piuttosto intimidatorio. Ma ora posso dire che Hbo è la Rolls Royce della tv americana».

E lavorare con la sua amica Nicole? «È stato incredibilmente facile dall’inizio. Nicole mi ha ricordato Meryl (Streep: in Florence Foster Jenkins è stato suo marito, ndr) per come sono spontanee davanti alla telecamera. Non sono mai le stesse in due riprese. E sono generose: è stato come partecipare a una master class sulla recitazione». Nel cast Donald Sutherland è suo suocero. «È un uomo straordinario. Amo Donald. Ci scambiamo molte email anche oggi, un anno dopo la realizzazione della serie. Ha il senso dell’umorismo di un bambino di otto anni, cosa che amo molto». Tempo fa aveva dichiarato di essere felice di non recitare più così tanto. Dopodiché ha preso parte a una raffica di film. «Sono un uomo leggermente diverso ora, dopo questi ultimi quattro o cinque progetti. Ho più rispetto per me stesso in termini di recitazione e penso di essere più appagato e soddisfatto. Prima mi divertiva solo vedere il film finito, se funzionava. Ora sono cambiato e posso quasi godermi il processo. Sono diventato appena un po’ più bravo e più calmo. A volte adesso, dopo una giornata sul set, mi può anche capitare di pensare: “Dai, in quella scena siamo stati piuttosto bravi”».

Chiara Maffioletti, Corriere.it

Torna in alto