Jeff Bridges, Golden Globe alla carriera. «Devo tutto al Grande Lebowski»

Jeff Bridges, Golden Globe alla carriera. «Devo tutto al Grande Lebowski»

L’antieroe del cinema hollywoodiano : «Alla soglia dei 70 anni ho raggiunto la felicità. Amo la meditazione e mi diverte essere identificato con le follie di quel personaggio»

«Mia moglie Susan sostiene che, non avendo ancora raggiunto il traguardo dei 70 anni, posso ritenermi soddisfatto delle 7 nomination ai Golden Globe, e di uno vinto, nonchè della conquista dell’Oscar come protagonista per Crazy Heart, dopo sette candidature. Però, a me, regala una autentica soddisfazione il riconoscimento alla carriera nella serata dei Globes. Un attore ha sempre bisogno di essere amato», dice Jeff Bridges alias il Drugo, protagonista de Il Grande Lebowski (1998) di Ethan e Joel Coen.

 

Ha sempre detto che quel film, un vero cult del cinema, le ha cambiato la vita. Perchè?

«Per tanti sono diventato il Drugo. Per tutti mi sono trasformato in un uomo al quale non interessa affatto inserirsi nel sistema: un perdente che sa divertirsi, fumare marijuana, giocare a bowling e godere con leggerezza l’esistenza. Io nella vita sono goloso di note musicali e di gelati al cioccolato, il protagonista del Grande Lebowski lo era di molte altre cose. Insomma, continua a divertirmi e a rendermi anche orgoglioso il fatto che qualcuno si chieda di fronte alle svolte e ai problemi della vita: “Cosa farebbe al mio posto lui, il Drugo?».

In realtà lei, figlio di attori, ha sempre lavorato e anche duramente nel cinema…

«Sono nel cinema sin da quando ero bambino. Sono soddisfatto delle diverse tappe della mia vita, specialmente di quelle private: una moglie e tre figlie adorabili. Inoltre, con la maturità, ho scoperto la meditazione zen. Credo di essere un uomo sereno e non è poco».

Rifarebbe tutti i film che ha interpretato?

«Perché no? Anche quelli meno riusciti danno sempre qualcosa a un attore e i successi popolari sono gratificanti. Tron del 1982, per esempio, per me fu una scoperta di tante cose del mondo digitale perchè il mio giovane programmatore di software era davvero in anticipo sui tempi».

Quali sono i registi che ha più ammirato?

«Come posso scegliere tra Bogdanovich, Bob Rafelson, John Huston, Francis Ford Coppola e tanti altri? E ho sempre amato Michael Cimino con il quale interpretai I cancelli del cielo. Michael era davvero geniale. E incompreso».

E tra gli scrittori?

«Ho da sempre un autore prediletto: Raymond Chandler, a lui ho attinto per Il Grande Lebowski».

Un premio alla carriera costringe a fare bilanci…

«Io rifarei tutto, compreso l’acquisto della mia tenuta a Montecito, vicino a Santa Barbara, dove ho imparato a curarmi della natura, dei grappoli d’uva, dei colori dei fiori e dove ho cresciuto le mie figlie. Sono diventato un principe della commedia, uno speciale eroe dei nostri tempi con un particolare sex appeal e capace di sorridere di ogni problema, senza frenesie di potere e voluttà di denaro. Accetto la vecchiaia: non puoi essere giovane per sempre, anche gli uomini come le donne devono imparare a convivere con i loro anni. La giovinezza è un lusso, la maturità ti insegna a sapere ciò che hai».

Lei è anche un artista. Sul web conta legioni di fan anche per le sue fotografie che hanno vinto premi…

«Sono fondamentalmente un attore e tale mi considererò sempre, ma sono eclettico: mi piace scrivere storie e disegnarle; sono un musicista innamorato del jazz, del blues. Ho interpretato film commerciali (molti) ma ho sempre considerato la vita il vero e unico blockbuster di cui essere fiero. Invecchiando diventi un po’ più pazzo e anche più saggio, impari a non volere tutto, a scegliere, a godere delle occasioni valide che ti capitano».

Progetti?

«Penso che in futuro mi dedicherò anche alla produzione di serie televisive. Oggi la tv sa parlare a tutti, più del cinema. Mi piacciono i documentari del National Geographic ad esempio: è il mio Zen visivo e culturale. Oggi la tv permette tante scelte di ruoli, il cinema spesso privilegia il potere degli incassi e diventa ripetitivo».

Giovanna Grassi, repubblica.it

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