L’attrice: «Per un amico ho rinunciato a un film di 007. Non ho paura di invecchiare, non ha senso. Gli esordi sono stati un incubo: sono stata amata da registi cinici e vivevo come a Disneyword»
Fuori dal set, bisogna chiamarla Francesca, che è il nome all’anagrafe, cognome Rivelli. Ornella Muti è il suo doppio, un’altra storia, una vita di cento e più film che si sovrappone alla vita e a volte la illumina, altre la confonde. Le chiedi com’era quattordicenne sul suo primo set, quello de «La moglie più bella» di Damiano Damiani, anno 1969. Sospira: «Che devo dire? Per me è stato un incubo: sono stata amata da registi cinici, secchi… Dino Risi, Marco Ferreri, Mario Monicelli, e io vivevo come a Disneyworld, capivo poco, non sapevo niente, non ero nessuno».
Che intende con «vivere a Disneyworld»?
«Credere che la vita è bella e tutti sono buoni, che non è possibile che ti dicono una cosa e ne vogliono fare un’altra. Che esiste la famiglia perfetta… Ci fanno soffocare e lavorare per qualcosa che non esiste. Ma se vivi nel mondo delle fate, poi la vita ti ripresenta la stessa lezione finché non la impari».
Qual è la sua lezione?
«Che non devo distrarmi. Tutti siamo altamente distratti dal pensiero di come vivere, di come fai crescere i figli, di come arrivare alla vecchiaia e dai pensieri e dalle notizie, dai social. Viviamo con un dialogo costante nella testa… La mente non riposa mai. Per questo, ho imparato a meditare. Medito e riconosco quanta polvere c’è in giro».
E quanto medita?
«Tutti i giorni, ma non quanto vorrei. È un periodo in cui sono un po’ confusa».
Confusa perché?
«Quando si rompe un vaso, devi raccogliere i cocci, pulire, stare attento che nessuno si faccia male e tutto questo non ti fa capire perché il vaso è caduto, cosa hai sbagliato».
Che vaso si è rotto?
«A me, si è rotto un po’ tutto. Avevo progettato una cosa che non c’è. Lui non c’è, io non sono più a Roma, ma da quest’estate vivo fra Mosca e la campagna piemontese, mia madre non sta come vorrei che stesse, tutte le cose sono cambiate».
Il «lui» con cui è finita dopo quasi dieci anni è il suo compagno francese Fabrice Kerhervé. Com’è ritrovarsi sola, a 62 anni?
«Non lo so, va bene così. Anche io ho fatto tanta confusione, tanta energia a rincorrere cose, quante ce ne raccontiamo di storie».
Le manca, ora, un amore?
«No e non so se ne avrò mai un altro. Prima devo capire: cos’è l’amore? Quello dei film non esiste. Allora, perché mettersi di nuovo a fare la schiava mentale, a essere il tappetino di un uomo? Non parlo di maschilismo e femminismo, ma del fatto che io, come donna che ama, amo i miei tre figli, i miei tre nipoti, i miei amici e mi piace dare e vederli felici. Pensi come posso confondere un uomo. Arrivo io che voglio dare e però sono piena di buchi neri».
Ha amato troppo?
«Ho amato, non mi son capita, ho sbagliato. Ora, voglio che l’obiettivo sia l’amore per me stessa, voglio alzarmi dal letto e fregarmene se ho le rughe, anche se poi me le voglio togliere e me le tolgo. Anche se poi mi dicono “fai la totale e però ti sei tolta le rughe”. Basta… ».
Che ha significato essere un sex symbol, tornare a casa ed essere compagna o moglie?
«Non ho mai creduto nel mio sexy-simbolismo. Ho vissuto con passione. Poi, esagero nel voler fare la fiaba, non mi godo i momenti di bellezza e mi stupisce sempre che due persone si amano alla follia e il giorno dopo si odiano. Quello che voglio adesso è non aver paura. Siamo pieni di paure, e perdo il lavoro e perdo l’amore…».
Le sue paure specifiche?
«Di non capire me stessa, di smettere d’imparare. Bisogna avere tanta forza. Le tentazioni sono dappertutto. Ogni scusa è buona per mangiare e ingrassare quel chilo. Tutto così».
Ha paura d’invecchiare?
«Ma no. Con quale concetto mi fa questa domanda? È una cosa che a me capita e a lei no? Quello che mi sta chiedendo è: ha paura di non essere più di plastica? Di non essere più l’offuscamento mentale che gli uomini hanno quando vedono una ragazza carina? Se è questo che chiede, le rispondo: devo aver paura solo se non affronto la vita con forza. Questo è importante, se no, a 21 anni, devi cominciare ad accendere ceri e piangere».
A 21 anni, lei aveva già fatto film di grande femminismo, la «Moglie più bella» che rifiuta il matrimonio riparatore, «L’ultima donna» con Gérard Depardieu accusato di fallocrazia che si evira, «Romanzo Popolare» di Monicelli in cui è una moglie adultera.
«Non capivo bene cosa rappresentavo. Chiamiamolo femminismo, ma era agli albori e io non credo nei movimenti né nella politica».
Che pensa dello scandalo Weinstein?
«Che giochiamo a essere sorpresi, ma ci prendiamo per i fondelli. È tutto così terra terra. Sei una donna, sei minimamente carina, ti vuoi mettere più carina ed ecco: stai attirando l’attenzione, è colpa tua. Io questa cosa ce l’avevo inculcata da piccola, sono sempre vissuta con un’attenzione su come mi muovevo, che passi facevo, e come e con chi e lo sguardo degli uomini, gli apprezzamenti».
Nel lavoro com’è stato?
«Ci hanno provato in tanti, ma non posso dire che erano abusi e violenze. Ho avuto occhi e non occhi addosso, uomini che mi hanno tormentata, però mi sono districata e quella mi è sempre sembrata una normalità per noi femmine».
Quanto è stato difficile decidere di tenere una figlia a 19 anni e non dire chi era il padre?
«Fu un piccolo calvario: “ragazza madre” era una cosa che non si poteva sentire, ma non potevo pensare di abortire per fare l’attrice».
Fare l’attrice era quello che voleva?
«All’inizio, no. Ma mamma lavorava, mia sorella lavorava, papà era morto. Non ho scelto, fu un caso, l’ho fatto, dovevo fare bene, dovevo sorridere, dovevo essere bella, dovevo».
Corteggiatori famosi? Alain Delon?
«Nel caso, non me ne accorsi, essendo presa da cose importantissime, come l’amicizia: ho dato e do tutto per gli amici».
Ugo Tognazzi?
«È stato appunto un grande amico, mi ha voluto bene come una sorella, mi ha protetto come un fratello».
Protetto da cosa?
«Per dire, stavamo girando “Primo Amore”, ebbi una crisi, sicuramente per un uomo, e solo lui se ne accorse e disse a Risi “mandala a casa”. In scena, mi aiutava, non ha mai abusato di essere un potere maschile dell’epoca».
Che significava, all’epoca, abusare del potere maschile?
«Tante cose, tante durezze».
È vero che sul set lei e Ferreri vi parlavate per interposta persona?
«Sul primo film sì. Non sopportava le fragilità, ma la verità è che voleva svegliarti per farti capire che stavi perdendo tempo».
Ferreri ha detto che era l’unica attrice di cui il pubblico poteva sentire l’odore.
«Che stupidaggine… Come si fa a sentire l’odore attraverso uno schermo?».
Chi era il regista che la picchiava con fascine di legno sulle ginocchia per farla piangere?
«Damiani».
Oggi sarebbe da denuncia.
«Oggi sì». Ride. «All’epoca, mia madre osò chiedere che stava a fare e lui la guardò come per dire “voi dovete essere grati del fatto che questa ragazza lavori”».
Adriano Celentano che rivela a distanza di trent’anni che foste amanti, è qualcosa che ha vissuto come una forma di violenza?
«Non violenza, ma peggio, no peggio no… Scriva che trovo grave questa presuntuosità maschile. Se lo decidono loro, devi stare zitta. Se lo decidono loro, possono raccontarlo».
Come vive l’esuberanza di sua figlia Naike, che sta nuda sui social, fa sempre scandalo?
«Condividiamo l’idea che non esista “il modo giusto” di vivere. Naike è avanti perché si rende conto della stupidità di quelli che neanche leggono, ma pretendono di giudicare».
Una cosa che ha imparato tardi e che vorrebbe che i suoi figli imparassero prima?
«Che, se sei consapevole di te stesso, fai meno errori. E a sbagliare di testa propria».
Perché rifiutò «007» con Roger Moore?
«Volevo che i costumi li facesse un mio amico costumista e io se voglio bene, farò qualsiasi cosa per un amico, anche rinunciare a 007».
Sarà in «Notti Magiche» di Paolo Virzì, in «Wine to love» di Domenico Fortunato, fino a quando reciterà?
«A me il lavoro piace tanto, ma non voglio che sia un’imposizione per gli altri né un bisogno di vita per me. Non voglio soffrire e pensare: sono vecchia. Mi piacerebbe essere diretta da Emanuele Crialese, ma anche non mi va più di sognare».
Candida Morvillo, Corriere della Sera